Usiamo la testa e il cuore per leggere il comportamento collettivo di fronte all’emergenza covid-19
In questi giorni complessi di quarantena, spesso abbiamo visto scorrere nei media italiani immagini di persone che fanno jogging o che affollano i parchi nonostante le indicazioni di restare a casa. Abbiamo bene in mente le immagini delle persone meridionali nelle stazioni ferroviarie di Milano che si sono riversate in massa nelle regioni del sud per raggiungere la propria famiglia. La descrizione mediatica colma di disapprovazione, così come la reazione ridicolizzante e sprezzante che ne è seguita, è altrettanto nota. Queste persone sono descritte e percepite nel migliore dei casi come un coacervo indifferenziato di stolti e mentecatti e nel peggiore dei casi come persone squallidamente egoiste e immorali interessate biecamente solo alla tutela dell’interesse individuale.
I giudizi (negativi) che esprimiamo sugli altri sono influenzati da questi automatismi ideologici che ci fanno valutare in modo altero il presunto comportamento immorale delle persone in situazioni di emergenza. E’ possibile che non abbiate mai sentito parlare di Gustave Le Bon, o forse sì, ma è sicuro che la sua visione reazionaria delle folle composta da barbari individui difettosi di razionalità e in preda ai peggiori istinti influenza la visione che abbiamo dei comportamenti collettivi (Mucchi-Faina, 2002). Per una riflessione su questo invitiamo a leggere i post di Reicher e colleghi qui (https://it.in-mind.org/blog/post/tutta-la-verita-sul-panico) e qui (https://it.in-mind.org/blog/post/non-possiamo-pensare-in-modo-individual...).
A influenzare i nostri giudizi intervengono anche motivazioni più individuali collegate al bisogno di mantenere una buona autostima. Quale occasione migliore infatti per sentirci delle persone rispettabili in termini morali se non quella di confrontarsi con chi si comporta peggio di noi? Ci consola sapere di essere migliori degli altri, ma questo non è il momento per le consolazioni, è il momento di pensare e agire in modo proattivo a difesa della collettività.
La psicologia sociale ci può aiutare per questo ad andare oltre una visione patologizzante (la gente è matta!) e giudicante (la gente non si regola!) del comportamento altrui.
Un primo passaggio fondamentale – di natura più cognitiva – da compiere per cogliere appieno la complessità del comportamento umano, soprattutto rispetto all’agire morale è il seguente. Dobbiamo farcene una ragione: la moralità non è un fatto individuale, ma è necessariamente condivisa. Senza una definizione consensuale di ciò che è giusto o sbagliato infatti, non avremmo modo di prevedere il comportamento sociale degli altri, né avremmo modo di comprendere come comportarci e come gli altri reagiranno al nostro comportamento. I gruppi sociali, reali o immaginati, con cui entriamo in contatto nel concreto o attraverso i media, sono delle vere e priorie àncore morali (Ellemers, 2017) in grado di fornire indicazioni, attraverso le norme sociali, su quali comportamenti siano leciti e quali no. Descrivere gruppi di persone comportarsi in un certo modo rende quel comportamento normativo perché percepito come il più diffuso. La scelta di assumere un comportamento morale, ci piaccia o no, è molto influenzata dal contesto sociale nel quale siamo inserite e inseriti. Quel contesto sociale è anche quello virtuale raccontato dai media. Smettere di dare rilevo ai comportamenti poco orientati alla collettività raccontando invece un’Italia che resta a casa, che, sacrificandosi duramente, rispetta le regole è il miglior modo per proteggere la collettività. A quel punto non sarà solo una norma morale ma una norma legata a come la maggior parte delle persone si comporta ad essere rispettata.
Il secondo passaggio fondamentale da compiere, più affettivo, è altrettanto centrale. I gruppi forniscono un senso di identità condivisa, che Tajfel e Turner (1979) hanno definito come identità sociale. Rafforzare un’identità sociale condivisa sulla base del destino che stiamo vivendo e che ci accomuna (per approfondimenti si veda il contributo di Simona Sacchi qui https://it.in-mind.org/blog/post/contro-il-covid-19-tutti-gli-esseri-uma...) rappresenta la base da cui partire per imbastire ogni tipo di risposta a un’emergenza quale quella che stiamo vivendo.
Bene raccontare che siamo un esempio di gestione dell’emergenza per gli altri paesi occidentali, aumenta la fiducia nella nostra competenza che diventa un collante sociale. Bene il racconto dei flashmob sonori, che costituiscono un sostegno non solo per chi vi partecipa. I social network esteri pullulano di video dei nostri flashmob sonori ed è commovente leggere le reazioni di vicinanza e ammirazione delle persone straniere di fronte alle immagini di un’Italia che resiste grazie alla musica, alle relazioni, alla nostra umanità. Bene rendere saliente l’identità nazionale attraverso l’orgoglio per gli sforzi che stiamo facendo nella comunicazione istituzionale, come sta facendo il presidente del consiglio Giuseppe Conte ricordando che il mondo ci guarda.
Tutto questo aumenta la fiducia nelle altre persone italiane e nelle istituzioni che ci governano e che ci rappresentano. Tutto questo è cruciale per rafforzare e rinsaldare il legame psicologico delle persone con la collettività e per favorire comportamenti che, anche se a prima vista appaiono svantaggiosi per il singolo individuo (restare chiusi in casa senza fare una passeggiata o stare lontano dai propri affetti che vivono in un altro comune o regione) proteggono e tutelano la collettività e la salute pubblica. Testa e cuore per pensarci e sentirci tutte e tutti esseri umani, tutte e tutti dalla stessa parte.
Bibliografia
Ellemers, N. (2017). Morality and the regulation of social behavior: Groups as moral anchors. Psychology Press.
Mucchi-Faina, A. (2002). La psicologia collettiva. Storia e problemi. Roma: Carocci editore
Tajfel, H., & Turner, J. C. (1979). An integrative theory of intergroup conflict. In W. G. Austin, & S. Worchel (Eds.), The social psychology of intergroup relations (pp. 33-37). Monterey, CA: Brooks/Cole.
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