Un’arma in casa. Nadine Gordimer
Un’arma in casa è stato pubblicato nel 1998, quando secondo Nadine Gordimer, indimenticabile scrittrice sudafricana, premio Nobel per la letteratura nel 1991, con la fine dell’apartheid e la salita al potere di Nelson Mandela, la nuova situazione del suo paese permise finalmente agli scrittori di concedersi il lusso di scrivere libri più intimi e personali. In realtà Un’arma in casa (Godimer, 1998) racconta con sfumature intense e toccanti una vicenda famigliare che non prescinde dal contesto del paese attraversato per decenni da un conflitto sanguinoso e devastante, dato che narra una storia che inizia con un omicidio inaspettato. La vicenda si apre infatti sulla scoperta fatta da una coppia di mezza età, appartenente alla buona borghesia bianca con posizioni progressiste, che il figlio, un architetto ventisettenne, ha ucciso un amico trovato in rapporti intimi con la propria ragazza; il racconto prosegue poi concentrandosi sui vissuti, i dubbi, le angosce dei genitori, in una sofferta rielaborazione del lutto e in una altrettanto sofferta rielaborazione dei rapporti con il figlio. Importante, per capire l’interesse psicosociale del racconto, è sottolineare che l’omicidio è avvenuto in casa, con una pistola comprata e tenuta a disposizione della famiglia per difendersi da eventuali malintenzionati.
Amo moltissimo i romanzi di Gordimer, che mi hanno accompagnato in momenti diversi della mia vita; appena usciva un nuovo libro, correvo a comprarlo per assaporare quella sua prosa, precisa ed ellittica allo stesso tempo, che porta il lettore a immaginare persone e situazioni senza mai svelarle completamente. Conosco bene in particolare questo romanzo per averlo citato molte volte durante le mie lezioni sull’aggressività umana al primo anno di psicologia sociale, quando presentavo la teoria neoassociazionista di Leonard Berkowitz, che esamina le condizioni ambientali che possono determinare o facilitare un comportamento aggressivo. Secondo Berkowitz, la semplice presenza di uno stimolo aggressivo, vale a dire un oggetto solitamente associato con l’aggressività, aumenta la probabilità che venga posto in atto un comportamento aggressivo. Tale “effetto arma”, come è stato definito, è corroborato da un esperimento piuttosto famoso, condotto da Berkowitz e LePage, nel quale degli studenti universitari venivano indotti a provare rabbia, alcuni in una stanza in cui era presente una pistola, apparentemente lasciata da un esperimento precedente, altri in una stanza in cui al posto della pistola si vedeva una racchetta da badminton. Ai partecipanti veniva quindi data l’opportunità di somministrare delle scosse elettriche a un collaboratore dello sperimentatore. I risultati indicarono che i partecipanti posti nella stanza con pistola somministravano scosse più forti rispetto a coloro che si trovavano nella stanza con la racchetta, confermando quindi l’ipotesi che le espressioni aggressive siano facilitate dalla presenza di segnali adeguati nell’ambiente (Berkowitz & LePage, 1967).
In un altro studio, questa volta condotto fuori dal laboratorio, i ricercatori allestirono una bancarella durante un carnevale universitario e invitarono gli studenti a gettare spugne contro una persona che fungeva da bersaglio, con il risultato che gli studenti gettarono un numero maggiore di spugne quando accanto alla bancarella era visibile un fucile, rispetto a quando il fucile non c’era (Turner et al., 1977).
L’“effetto arma” è stato molte volte invocato per spiegare come mai negli Stati Uniti, nel cui territorio vive circa il 5% della popolazione del pianeta, si verifichino il 30% delle sparatorie di massa a livello mondiale. Ed è anche in accordo con uno studio sulla violenza nel mondo, effettuato da Archer e Gartner (1984), che mostrò l’esistenza di una solida correlazione tra la media degli omicidi compiuti in un paese e la disponibilità di armi all’interno dello stesso paese. Come disse Leonard Berkowitz (1965), in polemica con la National Rifle Association che ancora oggi continua a opporsi a qualsiasi forma di controllo sulle armi sostenendo che non sono le armi a uccidere, ma le persone: “Il dito preme sul grilletto, ma talvolta è il grilletto a premere sul dito.”
Forse vi chiederete perché io abbia deciso di parlarvi ora di questo libro. Perché mi è tornato in mente, e l’ho quindi ripreso in mano, durante lo scorso giugno quando il Decreto Sicurezza è stato trasformato in legge. Il decreto appartiene, a mio parere e non solo, al filone del populismo penale, teso a moltiplicare reati e sanzioni. Mi ha colpito, in esso, l’introduzione della possibilità per gli agenti di pubblica sicurezza di portare alcune tipologie di armi, diverse da quelle di ordinanza, senza licenza, quando non sono in servizio. Cosa che autorizza gli esponenti delle forze dell’ordine a girare armati come e quando vogliono. Mi sono chiesta, senza trovare una risposta soddisfacente, il perché di un tale provvedimento. E mi sono chiesta se i membri del governo, che hanno proposto il decreto e i parlamentari che l’hanno votato per trasformarlo in legge conoscano gli studi sull’aggressività e i loro inoppugnabili risultati e se abbiano letto il romanzo di Nadine Gordimer. Credo che la risposta sia negativa, perché, se l’avessero fatto, avrebbero capito che permettere di portare delle armi anche quando non servono per lavoro moltiplica le possibilità che tali armi vengano usate. Come? In quali occasioni? Su quali bersagli? Per fare un esempio, chi porta una divisa potrà andare all’ultimo appuntamento con una ex partner tenendo un’arma in tasca. Non riesco a capire come questa possibilità aumenti la nostra sicurezza o contribuisca alla lotta per fermare non solo i femminicidi, ma tutte le violenze contro donne e uomini nel nostro paese.
Bibliografia
Archer, D., & Gartner, R. (1984). Violence and crime in crossnational perspective. New Haven: Yale University Press.
Berkowitz, L. (1965). The concept of aggressive drive: Some additional considerations. In L. Berkowitz (Ed.) Advances in experimental social psychology, vol. 2, pp. 301-329. New York: Academic Press.
Berkowitz, L., & LePage, A. (1967). Weapons as aggression-eliciting stimuli. Journal of Personality and Social Psychology, 7, 202-207.
Gordimer, N. (1998). The house gun. Felix Licensing. Trad. it. Un’arma in casa. Milano: Feltrinelli, 1998.
Turner, C. W., Simons, L. S., Berkowitz, L., & Frodi, A. (1977). The stimulating and inhibiting effects of weapons on aggressive behavior. Aggressive Behavior, 3, 355-378.
Autore/i dell'articolo
Blog Kategorien
- Aggressività (11)
- Covid-19 (16)
- Deumanizzazione (7)
- Disuguaglianza (10)
- Identità (19)
- Omofobia (3)
- pandemia (16)
- Perdono (1)
- Pride (2)
- Sincronia (2)
- Violenza (2)
Post popolari del blog
Nuvola di keyword
agency cambiamento sociale cognizione cognizione sociale contatto intergruppi deumanizzazione editoriale infraumanizzazione Mindfulness pregiudizio relazioni interpersonali sessualizzazioneNewsletter
Keep me updated about new In-Mind articles, blog entries and more.

