Commento allo Special Issue: “Deumanizzazione. Forme e declinazioni” su Minority Reports. Cultural Disability Studies
Non vi è dubbio che lo special issue “Deumanizzazione. Forme e declinazioni”, pubblicato dalla rivista “Minority Reports. Cultural Disability Studies” e curato da Chiara Volpato e Luca Andrighetto, sia di estrema attualità.
Come spiegato dai due curatori nell’introduzione, la deumanizzazione, vale a dire la negazione dell’umanità a un altro individuo e/o gruppo, non è (purtroppo) un ricordo del passato, bensì è largamente presente ai giorni nostri e continua a influenzare pesantemente le nostre vite. La deumanizzazione, solitamente rivolta agli individui provenienti da gruppi svantaggiati, si presenta come un fenomeno multiforme. Essa porta a vedere l’altro come un animale, una macchina, un demone, un virus, un mero oggetto, permettendo in qualche modo di giustificare comportamenti immorali e abbietti, incluse forme estreme di violenza. Volpato e Andrighetto spiegano come la deumanizzazione non sia solo “esplicita”, manifesta, bensì possa presentarsi anche in forme sottili (tanto che la persona non è pienamente consapevole di deumanizzare l’altro), ma non per questo meno pericolose (a proposito della differenziazione tra deumanizzazione esplicita e sottile, nonché sulle loro conseguenze, si veda il contributo di Albarello).
Sulla base di quanto appena esposto, si potrebbe pensare che la deumanizzazione caratterizzi solitamente contesti conflittuali, quali le guerre, dove deumanizzare il nemico “serve” allo scopo di giustificare il suo annientamento e l’utilizzo di pratiche immorali. Questo special issue dimostra che in realtà la deumanizzaione è un processo ben più pervasivo, che esercita un’influenza sulla nostra società in tanti diversi ambiti caratterizzanti le nostre esistenze. Di seguito, partendo dagli articoli inclusi nello special issue, cercherò di illustrare la pervasività del fenomeno della deumanizzazione nelle nostre vite.
Un ambito centrale della società è rappresentato dal lavoro. Baldissarri mostra come la deumanizzazione agisca negli ambiti lavorativi, con lavoratori identificati con gli animali oppure percepiti come oggetti, soprattutto nel caso di lavori ripetitivi (come nelle catene di montaggio). Pacilli, Cadeddu e Spaccatini mostrano che i fenomeni di oggettivazione vanno oltre l’ambito lavorativo. Le autrici si concentrano in particolare sul processo che porta a vedere le donne come oggetti sessuali. Romito si focalizza invece su come la deumanizzazione delle donne sia alla base della violenza contro le donne e dei femminicidi che così spesso riempiono le cronache quotidiane, o dello sfruttamento delle donne, come avviene con il fenomeno della prostituzione.
Un altro ambito particolarmente presente nelle cronache odierne è quello medico. Casi di cronaca che vedono i pazienti oggetto di pratiche poco ortodosse, frutto evidentemente di poche “mele marce”, sono tristemente frequenti. La deumanizzazione dei pazienti è comunque un fenomeno vasto, che si estende anche al personale non medico, andando a includere la percezione che le persone comuni si formano dei pazienti. Il contributo di Peloso mostra come un tipico target di deumanizzazione sia a questo proposito rappresentato dai pazienti psichiatrici, che ne patiscono le conseguenze anche nel quotidiano. Capozza, Falvo e Colledani, oltre a presentare una panoramica di come la deumanizzazione caratterizzi i contesti medici, ne distinguono due tipi: uno ha la funzione di permettere il processo di cura, mentre il secondo è disfunzionale, portando a ripercussioni negative per i pazienti.
La deumanizzazione è spesso legata a tematiche sociali attuali, quali ad esempio il fenomeno dell’immigrazione. Valtorta descrive una particolare forma di deumanizzazione, la biologizzazione, che porta a identificare altri come portatori di malattie, germi, parassiti. La biologizzazione può emergere qualora siano salienti ambienti degradati e sporchi, qualificandosi dunque come potenzialmente rilevante in un’ampia gamma di contesti quotidiani, che caratterizzano principalmente le persone di gruppi svantaggiati o in condizioni personali precarie. Più in generale, la deumanizzazione ha la funzione strategica di mantenere le differenze di status e potere tra i gruppi, spesso riconducibili a disparità su base nazionale e/o etnica, come spiegato nel contributo di Sainz, Martinez, Moya e Rodriguez-Bailon. La deumanizzazione avviene in questo caso in due direzioni: i gruppi svantaggiati sono animalizzati, in modo da giustificare la loro condizione inferiore; si tende al contrario a meccanizzare i gruppi di potere, vedendoli come macchine, legittimandone la superiorità economica (e dunque di potere). La conseguenza più estrema, come ben spiega Buzzelli, è la negazione di diritti inviolabili universali i quali, purtroppo, tuttavia, così inviolabili non sembrano essere e necessitano dunque di un’attenzione costante da parte di tutti per essere efficaci e non solo “belle parole”. A preoccupare non è solo la violenza in sé stessa, che abbiamo visto ad esempio all’opera nei confronti dei migranti nel corso dei loro tragici tragitti migratori, quanto il silenzio dell’opinione pubblica, facilitato dai processi di deumanizzazione, senza cui molte di tali atrocità non sarebbero probabilmente possibili.
Dunque, questo special issue illustra bene la varietà e la complessità delle forme della deumanizzazione. Inoltre, chiarisce come essa si insinui nelle nostre vite, permei i vari ambiti della vita quotidiana e sia rivolta a un’ampia varietà di persone. Questo volume ha inoltre il merito di presentare lo stato più avanzato della ricerca sulla deumanizzazione con un linguaggio chiaro e fruibile anche dai non addetti ai lavori, preparandoli ad affrontare processi psicologici sorprendenti nella loro quotidianità. Buona lettura!
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