La stigmatizzazione

" [...] Ora, questa donna, giovane e bella, fu fortemente tentata dal peccato e, oltre tutto, con ogni probabilità suo marito è scomparso in fondo al mare; ed è per questo, signore, che i nostri magistrati non hanno applicato per lei la legge in tutto il suo rigore. Per casi simili, la pena è la morte; ma essi, misericordiosi e clementi, hanno condannato la signora Prynne soltanto a restare tre ore sul palco della gogna ed a portare, per il resto della sua vita, un segno di vergogna sul petto."

Il brano è tratto da La lettera scarlatta di Nathaniel Hawthorne, libro che descrive in maniera esemplare il peso dello stigma. In questo caso, la protagonista del libro, Hester Prynne, viene condannata per presunto adulterio e obbligata a portare ricamata sul petto una "A" di colore scarlatto che la marchierà a vita [1]. La parola ‘stigma’, di origine greca, indica una pratica del passato attraverso la quale schiavi, traditori e criminali venivano marchiati a fuoco con l’obiettivo indicare, in modo evidente e inequivocabile, il loro stato di emarginati sociale e di soggetti da evitare. Nonostante le sue origini molto lontane, il concetto di ‘stigma’ è ancora fortemente attuale ed esplicativo di molte dinamiche che possiamo vedere all’opera ancora oggi. Una delle sue prime concettualizzazioni risale ai primi anni ‘60, quando il sociologo Erving Goffman pubblicò il suo libro Stigma. L'identità negata (1963). Secondo l’autore, la stigmatizzazione è un processo sociale dinamico che consiste nel denigrare un individuo sulla base di un particolare attributo - evidente o nascosto - che possiede e che, in qualche modo, viola le aspettative sociali e porta, inevitabilmente, alla svalutazione della sua identità [2]. Nel corso degli anni, sono state proposte molteplici definizioni del concetto di stigmatizzazione. Nel 2001, Link e Phelan hanno elaborato un modello che ne identifica le quattro componenti principali e, nello specifico, individua le quattro fasi che possono portare una persona a essere stigmatizzata [3]. Nella prima fase (etichettamento), le persone che presentano caratteristiche differenti da quelle che caratterizzano la maggior parte degli individui (ad esempio caratteristiche fisiche, legate alla nazionalità o, ancora, alla religione) vengono confinate in una categoria separata ed etichettate come ‘diverse’. Questo ‘marchio’ finisce per essere considerato parte integrante della loro identità e, dunque, travalica un semplice giudizio negativo che può essere espresso su di loro. Nella seconda fase (creazione di stereotipi) a questi individui vengono assegnate delle caratteristiche negative che li rendono, in qualche modo, indesiderabili agli occhi degli altri (stereotipi). Questa stereotipizzazione avviene automaticamente, anche senza che ce ne rendiamo conto e sfrutta la nostra tendenza a semplificare la realtà e a utilizzare delle scorciatoie che ci permettono di categorizzarla e interpretarla velocemente. Tuttavia, nonostante gli stereotipi possano essere funzionali per la nostra vita, il problema è che una volta formati sono molto resistenti al cambiamento e, indipendentemente dalla loro veridicità, influenzano i nostri pensieri e i nostri comportamenti. Dunque, nel caso dello stigma, i giudizi espressi nei confronti di una persona stigmatizzata diventano automaticamente degli attributi insiti della sua personalità e quindi la fanno diventare detentore di un'identità valutata solo ed esclusivamente in maniera negativa. Oltre a quanto abbiamo appena visto, la terza fase del processo di stigmatizzazione consiste nella cosiddetta separazione. Questo meccanismo viene attivato nel momento in cui l'individuo che ‘incarna’ uno stereotipo viene emarginato dalla comunità e serve principalmente a isolare le persone stigmatizzate sia per poter individuare a colpo d'occhio la loro "diversità" sia per evitare che possano rappresentare una minaccia nei confronti della comunità. Infine, l'ultimo passaggio consiste nella discriminazione, ossia un'azione dannosa e ingiustificata realizzata verso le persone stigmatizzate. Questo è un passaggio fondamentale del processo di stigmatizzazione in quanto provoca la perdita di status sociale e quindi, di conseguenza, il diritto a essere considerati come tutti gli altri. Molti potrebbero essere gli esempi che vedono il processo di cui abbiamo appena parlato all’opera; basti pensare a quanto avvenuto nei primi anni del Novecento negli Stati Uniti nei confronti delle persone italiane immigrate o, ancora, a quello che accade ancora oggi nei confronti di chi possiede caratteristiche fisiche non conformi agli standard ideali di bellezza o, ancora, a chi fa scelte personali che non vengono accettate neanche dal gruppo di riferimento. Dunque, i soggetti e le motivazioni alla base della stigmatizzazione possono essere differenti, ma i meccanismi alla base tendono a ripetersi. Naturalmente dobbiamo ricordare che i processi di stigmatizzazione sono profondamenti influenzati dalla cultura di riferimento delle persone nell’ambito della quale vengono ‘stabilite’ le caratteristiche valutabili negativamente; questo significa che ciò che può essere considerato stigmatizzabile in un contesto può non esserlo in un altro [4]. Ma quali possono essere le conseguenze della stigmatizzazione per le persone che ne sono il bersaglio? Secondo alcuni studi, gli individui sottoposti a stigmatizzazione sono spesso target di deumanizzazione, fenomeno che consiste nel considerare un individuo o un gruppo di individui privi o carenti delle qualità che definiscono gli esseri umani [5]. A questo proposito, Bandura l'ha classificata tra i meccanismi che servono a legittimare azioni perpetrate in netto contrasto con gli standard morali degli individui; in altre parole negare l'umanità di una persona può far sì che nei suoi confronti vengano commessi espliciti atti di violenza o, ancora, vengano sperimentate emozioni negative, come il disgusto [6]. Ma, oltre a questo, spesso verso gli individui stigmatizzati possono essere dirette emozioni spiacevoli, come il disgusto, oppure loro stessi possono interiorizzare la svalutazione di cui sono vittime arrivando a sperimentare sensazioni ed emozioni negative auto-dirette [7, 8]. Alla luce di quanto abbiamo messo in evidenza, la domanda che dobbiamo porci è se (e in che modo) la stigmatizzazione può essere un processo evitabile. Sicuramente analizzare i meccanismi alla base dello stigma può essere il primo passo per combatterlo. Individuare i fattori socio-culturali che contribuiscono a plasmare gli standard morali e valoriali che inevitabilmente entrano in gioco in questo processo può essere funzionale a intervenire e limitarne gli effetti disfunzionali. Del resto, combattere la stigmatizzazione, significa mettere in discussione quel processo che tende a separare dalla società i soggetti ritenuti non conformi a uno standard in qualche modo imposto da usi, consuetudini e norme in essa diffusi.

Bibliografia

[1] Hawthorne, Nathaniel. (2002). La lettera scarlatta. Milano: RCS Libri.

[2] Goffman, E. (1963). Stigma: Notes on the Management of Spoiled Identity. Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall (tr. It. Stigma. L'identità negata. Milano: Giuffrè, 1983).

[3] Link, B.G. & Phelan, J.C. (2001). Conceptualizing Stigma. Annual Review of Sociology, 27, 363-385.

[4] Kleinman, A. & Hall-Clifford, R. (2009). Stigma: a social, cultural and moral process. Journal of Epidemiology and Community Health, 63(6), 418-419.

[5] Haslam, N. & Stratemeyer, M. (2016). Recent research on dehumanization. Current Opinion in Psychology, 11, 25-29.

[6] Bandura, A. (1999). A social cognitive theory of personality. In L. Pervin & O. John (a cura di), Handbook of personality (pp. 154-196). New York: Guildford Publications.

[7] Volpato, C. (2011). Deumanizzazione. Come si legittima la violenza. Bari: Laterza.

[8] Link, B.G., Struening, E.L., Rahav, M., Phelan, J.C. & Nuttbrock, L. (1997). On Stigma and Its Consequences: Evidence from a Longitudinal Study of Men with Dual Diagnoses of Mental Illness and Substance Abuse. Journal of Health and Social Behaviour, 38(2), 177-190.