Sulla volatilità delle opinioni
Alle elezioni europee del maggio 2014 il Partito Democratico ottenne il 40,6% di voti e la Lega Nord il 6,15%. Uno scarto di 34,66 punti a favore del PD. Nel sondaggio di Pagnoncelli pubblicato oggi (8 settembre 2018) sul Corriere della Sera il Partito Democratico risulta al 17% e la Lega (non più Nord) al 33,5%. La differenza è ora del 16,5% a favore della Lega.
Per mille ragioni un serio confronto non è possibile, ma questi dati mostrano in modo evidente come sia fragile il successo dei partiti politici. Con la fine delle grandi ideologie si è moltiplicato un fenomeno da molto tempo denunciato dagli psicologi collettivi, la volatilità della cosiddetta opinione pubblica. Propongo qui una rilettura di alcune pagine della Psycologie des foules di Gustave Le Bon (1895), opera che - se pur dichiaratamente passatista - costituisce uno dei maggiori successi editoriali in psicologia sociale (prescientifica, d’accordo) e continua a essere per certi versi di un’attualità sconcertante. Fate ammenda alla terminologia dell’autore, pochissimo politicamente corretta, ricordandovi che si tratta di uno scritto di fine Ottocento.
Le Bon contrappone le credenze generali alle opinioni: “Un’opinione passeggera trova facilmente posto nell’anima delle folle [da intendersi come popolazione], mentre è difficile che vi si stabilisca una credenza durevole; in compenso quest’ultima, una volta che si è formata, viene difficilmente distrutta (…) Una grande credenza è condannata a morte nel giorno in cui il suo valore comincia a essere discusso (…) Quando una credenza ha perduto il suo potere, tutto ciò che essa sosteneva crolla”(p.183/4) . Vi viene in mente il muro di Berlino? E veniamo alle opinioni: se non si ricollegano a credenze generali o a sentimenti ancestrali “sono alla mercé del caso, o meglio, alla mercé dei minimi mutamenti dell’ambiente (…) sono sempre passeggere e nascono e spariscono a volte con la stessa rapidità delle dune di sabbia formate dal vento sulla riva del mare”(p.190). Ma il nuovo fenomeno, secondo Le Bon (fine ‘800) è “l’impotenza dei governi a dirigere l’opinione (…) Oggi gli scrittori hanno perduto ogni influenza e i giornali si limitano a riflettere l’opinione [pubblica]. Quanto agli uomini di stato, anziché guidare la nazione cercano soltanto di seguirla. Il loro timore dell’opinione pubblica sfiora a volte il terrore e pregiudica la stabilità della loro condotta (p.191). E ancora: “Spiare l’opinione pubblica è oggi la preoccupazione essenziale della stampa e del governo: quale sarà l’effetto prodotto da un certo avvenimento, da un certo progetto legislativo, da un certo discorso? Ecco quel che occorre sapere. E non è facile, perché niente è più mobile e mutevole del pensiero delle folle. Le vediamo accogliere con anatemi quel che il giorno prima hanno accolto con acclamazioni. La totale scomparsa di una direzione dell’opinione pubblica, accompagnata dalla dissoluzione delle credenze generali, ha avuto come risultato finale lo spezzettamento completo di tutte le convinzioni, e l’indifferenza crescente delle folle e degli individui per tutto ciò che non tocca direttamente i loro interessi immediati.(p.193)” E, se a questo punto potremmo essere presi da sconforto, Le Bon termina invece con un colpo di coda che ci stupisce: “Non deploriamo troppo questo sbriciolamento generale delle opinioni (…) non dimentichiamo che, dato l’attuale potere delle folle, se una sola opinione acquistasse abbastanza prestigio da imporsi, sarebbe presto rivestita di una forza così tirannica che tutto dovrebbe piegarsi davanti ad essa. L’epoca della libera discussione finirebbe allora per sempre”(p.195). Anche questo irriducibile reazionario era dunque consapevole dell’importanza della diversità e del ruolo dell’opposizione.
Riferimenti bibliografici
Le Bon, G. (1895). Psychologie des foules. Paris: Alcan. Trad. it. Psicologia delle folle. Milano, Longanesi, 1980.
Mucchi Faina, A. (2002). Psicologia collettiva. Storia e problemi. Roma, Carocci.
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