Solo per i tuoi occhi… L’oggettivazione sessuale in un’ottica psicosociale

L’auto-oggettivazione si associa anche a una maggiore disponibilità ad avvalersi della medicina estetica. Col tempo questa è diventata un mezzo socialmente accettabile e sempre più diffuso di perfezionamento del proprio aspetto fisico. In realtà, più che di miglioramento fisico spesso si tratta di rimuovere chirurgicamente la discrepanza percepita fra le caratteristiche del proprio corpo e quelle dei modelli dominanti di bellezza. Le motivazioni di questa scelta possono essere sia di carattere intrapsichico sia di carattere psicosociale. Anche se non è così facile distinguerle poiché fortemente interconnesse, nel primo caso la spinta è di intervenire sul corpo per un profondo senso di inadeguatezza verso se stessi: ciò che si ricerca non è tanto la bellezza quanto un sé desiderabile (Lemma, 2010). Nel secondo caso l’impulso proviene dalle pressioni sociali – diverse per uomini e donne – a uniformarsi a dei modelli normativi di riferimento (Swami, Chamorro-Premuzic, Bridges, & Furnham, 2009). Negli Usa, ad esempio, sul totale degli interventi estetici più o meno invasivi, il 9% è compiuto dagli uomini contro ben il 91% di quelli compiuti dalle donne (American Society of Plastic Surgeon, 2009). In una ricerca italiana (Pacilli & Mucchi-Faina, 2010) si è riscontrato che nelle ragazze - e non nei ragazzi - all'aumentare delle ore trascorse a guardare la TV aumenta di pari passo l'interesse per gli interventi di chirurgia estetica mentre diminuisce l'importanza assegnata al raggiungere il successo personale tramite le proprie competenze. 

Dal livello individuale al livello sociale: Quali costi?

I costi da pagare per l’auto-oggettivazione vanno ben oltre l’ambito individuale. È importante allora domandarsi cosa accade quando l’oggettivazione cessa di essere solo un’esperienza privata che si esprime nel particolare delle relazioni interpersonali e diventa un fenomeno che investe le relazioni sociali più in generale. Tempo fa su internet circolava l’immagine scherzosa di un’auto “per donne”. La rendeva tale la possibilità di guardarsi in uno specchietto retrovisore tanto grande da coprire completamente il parabrezza. Mi sembra un’efficace metafora delle conseguenze sociali dell’auto-oggettivazione: uno specchietto enorme in un’auto può certo permettere di guardarsi meglio ma copre del tutto la visuale della persona che guida e, impedendo di vedere la strada davanti a sé, rende impossibile il movimento. Considerate complessivamente, le ricerche sulle pratiche culturali di sessualizzazione indicano, infatti, come esse agiscano in modo da limitare drasticamente i ruoli sociali delle donne, riducendone l’autonomia di pensiero e la libertà di movimento nella società (American Psychological Association [APA], 2007). 

L’oggettivazione si può leggere quindi, in un’ottica più ampia, anche come un processo tramite cui si esprime ed esercita l’oppressione psicologica su un gruppo da parte di un altro gruppo di status/potere più elevato (Gruenfeld, Inesi, Magee, & Galinski, 2008). Ciò non è nuovo: il controllo sociale del corpo femminile è una delle strategie principali impiegata lungo i secoli per preservare lo sbilanciamento di potere fra i sessi (de Beauvoir, 1949). In questo senso il processo di auto-oggettivazione può essere considerato come un’altra modalità attraverso cui i gruppi di minoranze o membri svantaggiati contribuiscono attivamente a mantenere la loro condizione di inferiorità. Pertanto, in una sistema sociale in cui la piacevolezza fisica femminile è considerata un valore e una norma, essere oggetto di sessualizzazione da parte degli uomini, può paradossalmente provocare nelle donne emozioni positive nel momento in cui si conformano a quelle norme, proprio per i vantaggi che ne possono seguire. 

Qual è l’altra faccia della medaglia? Le donne che valutano la propria persona solo sulla base del proprio aspetto fisico percepiscono se stesse e sono percepite dagli altri come meno competenti (Gapinski, Brownell, & LaFrance, 2003; Heflick & Goldenberg, 2009), presentano atteggiamenti sessisti di tipo benevolente (Liss, Erchull, & Ramsey, 2011), oggettivano maggiormente anche le altre donne e sono più ostili nei loro confronti (Strelan & Hargreaves, 2005). 

Come contrastare l’oggettivazione sessuale e l’auto-oggettivazione delle donne?

L’oggettivazione ostacola il pieno sviluppo delle donne. Essa, come osservano Calogero, Tantleff-Dunn e Thompson (2011), rientra a pieno titolo nella definizione di pratica culturale dannosa per le donne fornita dalle Nazioni unite (1995) poiché:

a) è pericolosa per la salute. Numerose ricerche mostrano che l’auto-oggettivazione costituisce una minaccia per il benessere delle donne (APA, 2007; Moradi & Huang, 2008);

b) si pratica a beneficio degli uomini. L’investimento eccessivo di energie delle donne nella cura del proprio aspetto, a svantaggio di altre attività più importanti, ha dei vantaggi economici e sociali per gli uomini (De Beauvoir, 1949; Fredrikson & Roberts, 1997);

c) si origina da differenze di potere fra uomini e donne. Lo squilibrio socio-economico che favorisce gli uomini rispetto alle donne sostiene e rafforza in un circolo vizioso l’oggettivazione sessuale femminile (Pratto & Walker, 2004);

d) genera stereotipi che ostacolano le pari opportunità fra uomini e donne. Percepirsi come un oggetto sessuale rinforza gli stereotipi di genere sulle competenze delle donne e sul loro ruolo nella società (Calogero & Jost, 2011);

Autore/i dell'articolo

Newsletter

Keep me updated about new In-Mind articles, blog entries and more.

Facebook