Eroi e principesse: stereotipi e sessualizzazione nel mondo dei videogiochi

E’ possibile distinguere due tipi differenti di GTP: automatico e intenzionale (Ortiz De Gortari et al., 2011). I fenomeni automatici derivano dal coinvolgimento del giocatore, che prolunga l’esperienza di gioco anche dopo aver smesso di giocare. Essi includono esperienze definite intrusive, che portano all’alterazione delle capacità percettive dovute alla persistenza delle immagini virtuali nella mente del giocatore, come ad esempio l’impressione di continuare a schiacciare un bottone, oppure di essere ancora in movimento. I fenomeni di trasferimento intenzionale riguardano, invece, l’assunzione consapevole nella vita reale di comportamenti e atteggiamenti veicolati dal gioco. Il trasferimento intenzionale manifesta spesso l’imitazione del comportamento di personaggi o il riferimento a elementi virtuali nell’interazione con altri individui nella vita reale. La similarità tra mondo reale e videogiochi può essere la causa delle associazioni tra questi due mondi e proprio l’esposizione alla riproduzione di elementi reali nei videogames sembra essere la determinante principale del GTP (Ortiz de Gortari et al., 2011). Dagli studi finora svolti, si evince che a essere coinvolti in queste esperienze di traslazione sono per lo più i giocatori assidui; restano tuttavia ancora inesplorate le differenze individuali che possono favorire il GTP.

Un'altra conseguenza che nasce dalla commistione tra reale e virtuale è il cosiddetto Proteus Effect. Si tratta nuovamente del trasferimento di elementi del videogioco nel mondo reale, legato però più alle caratteristiche di un avatar sulla propria persona. Il Proteus Effect si verifica quando la rappresentazione del sé viene modificata in maniera significativa, spesso in modo del tutto dissimile al sé fisico. Il giocatore osserva il comportamento dell’avatar e ne ricava inferenze circa le sue credenze o atteggiamenti, adeguando i propri comportamenti a quelli del personaggio virtuale. Il primo studio che esamina gli effetti della personificazione di un avatar è stato condotto da Fox e colleghi (2013). I partecipanti allo studio erano esclusivamente ragazze e i ricercatori hanno indagato se il sistema di credenze, atteggiamenti e di percezione del sé fosse influenzato quando esse interagivano attraverso avatar rappresentati in maniera sessualizzata. I risultati mostrano che le partecipanti che interagivano attraverso un avatar iper-sessualizzato, rispetto a un avatar non sessualizzato, ne interiorizzavano maggiormente le caratteristiche fino ad auto-oggettivarsi e ad avere pensieri focalizzati sul proprio corpo (Fox et al., 2013). Come già descritto in precedenza, questi processi favorirebbero addirittura una maggiore adesione al mito dello stupro da parte delle ragazze (Fox et al., 2014). Tuttavia, l’identificazione con il personaggio di gioco, ovvero il grado in cui le partecipanti credevano di essere il loro avatar, non ha mostrato effetti significativi; secondo gli autori, infatti, il solo elemento rilevante è il modo in cui l’avatar viene rappresentato e vestito. Questo risultato è apparentemente in disaccordo con quanto recentemente mostrato da altri studi (si veda Gabbiadini et al., 2015), secondo i quali l’identificazione con il personaggio di gioco assume un ruolo primario nello spiegare gli effetti dei videogiochi dai contenuti sessisti. Questa differenza nei risultati potrebbe essere spiegata dal fatto che nello studio di Fox e colleghi (2013) le partecipanti erano immerse in un ambiente tridimensionale creato ad hoc per l’occasione, senza una precisa caratterizzazione dell’ambiente virtuale circostante, privo di azione e interazione con il mondo virtuale, come invece accade nei videogame moderni nei quali l’interazione e l’intreccio della narrazione sono elementi estremamente rilevanti.

Analizzando i risultati degli studi sopra esposti, si ricava un quadro piuttosto complesso e articolato circa gli effetti che i videogiochi moderni possono avere sugli individui e l’importanza che questi effetti assumono nel contesto sociale. Tuttavia, nonostante il crescente interesse della ricerca nei confronti della rappresentazione di genere nei prodotti videoludici, non esiste in letteratura uno studio che indaghi con una prospettiva integrata gli effetti che l’utilizzo di personaggi sessualizzati ha sul giocatore. Inoltre, nella maggior parte dei moderni action videogame, la rappresentazione sessualizzata delle eroine di gioco si accompagna a contenuti mediatici violenti. Lo studio proposto da Behm-Morawitz e Mastro (2009) che rappresenta un lavoro pionieristico, tuttavia lascia inesplorate molteplici ipotesi, come ad esempio la verifica degli effetti dell’utilizzo di un personaggio sessualizzato sui processi di auto-oggettivazione. Alcune indicazioni circa questo aspetto vengono fornite dai risultati degli studi di Fox e collaboratori (Fox et al., 2009, Fox et al., 2013, Fox et al., 2014) i quali, tuttavia, non hanno considerato un videogame vero e proprio ma un ambiente tridimensionale creato ad-hoc, privo quindi degli aspetti narrativi tipici dei moderni videogiochi.

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