La Realtà Virtuale Contro i Pregiudizi: Un Nuovo Approccio all’Inclusione
Negli ultimi anni, la realtà virtuale (VR) ha registrato una crescita straordinaria, trasformandosi da tecnologia di nicchia a fenomeno globale. Questa rapida diffusione, iniziata a metà degli anni 2010 con l'introduzione di visori resi più accessibili dal punto di vista economico e tecnico ad un pubblico sempre più ampio e diversificato, ha visto un’ulteriore accelerazione durante il COVID- 19, con un numero crescente di persone che hanno adottato questa tecnologia per lavorare, socializzare ed intrattenersi durante la pandemia. Ció ha portato all’emergere di nuove opportunità nel campo della ricerca sociale, in particolare nello studio e nella riduzione dei pregiudizi. Sebbene la VR offra numerose potenzialità, come la possibilità di simulare contesti realistici e di sperimentare nuove identità attraverso avatar virtuali, non mancano rischi e sfide associate a questa tecnologia. È fondamentale quindi indagare come stereotipi e pregiudizi si manifestino negli ambienti virtuali e comprendere quali strategie siano più efficaci per affrontarli. Due dei principali processi studiati attraverso la VR sono l’embodiment ed il contatto intergruppi. L’embodiment consiste nell'assumere l’identità di un avatar appartenente a un gruppo sociale diverso dal proprio, favorendo empatia e modificando atteggiamenti verso gruppi stigmatizzati. Il contatto intergruppi, invece, riguarda l'interazione con membri di altri gruppi sociali, un approccio basato sulla teoria classica del contatto intergruppi di Allport (1954), secondo cui questo tipo di interazioni favorisce la riduzione del pregiuzio. In VR, tale contatto intergruppi avverrebbe in ambienti virtuali condivisi, senza tuttavia perdere il suo potenziale come mezzo per la riduzione del pregiudizio (Tassinari et al., 2022). Ad oggi, la VR viene usata in molteplici modi, come la formazione e la simulazione in ambiti quali il militare, l’aviazione, la sanità e la produzione industriale. Anche l’educazione sta beneficiando di questa tecnologia, con ambienti virtuali che arricchiscono l’apprendimento permettendo agli studenti di esplorare e interagire in modi nuovi (Ambrosio & Fidalgo, 2020). Allo stesso tempo, il settore dei videogiochi e dell’intrattenimento rimane uno dei principali traini, offrendo esperienze immersive che trasformano il modo di giocare e interagire con i contenuti digitali. Una delle aree emergenti più interessanti è il Social VR, una forma di social media immersivo che permette agli utenti di interagire in ambienti virtuali tridimensionali (Dzardanova et al., 2018). Qui, le persone possono rappresentarsi attraverso avatar personalizzabili, comunicare con voce e linguaggio corporeo simulato e costruire comunità virtuali basate su interessi condivisi, superando le barriere fisiche e geografiche. Studiare le interazioni nella realtà virtuale, e in particolare nel Social VR, è fondamentale per comprendere le peculiarità, le somiglianze e le differenze rispetto alle interazioni nella vita reale. In VR, l'assenza di vincoli fisici ed il paziale anonimato consentito dagli avatar offrono un contesto unico per osservare come le persone comunicano, collaborano e si relazionano in ambienti completamente immersivi (Nakayama & Sumi, 2024). Questi spazi virtuali presentano dinamiche sociali che possono divergere significativamente da quelle del mondo reale, influenzando comportamenti, emozioni e percezioni in modi inaspettati. Tuttavia, nonostante la distanza dalla realtà fisica, le interazioni in VR spesso riflettono norme sociali e bias che esistono anche nella vita quotidiana. Questo rende la VR una lente preziosa per studiare fenomeni complessi come gli stereotipi e i pregiudizi. Analizzare come stereotipi e pregiudizi emergano e si manifestino in VR è cruciale per diverse ragioni. Da un lato, la possibilità di personalizzare gli avatar offre un'opportunità unica per superare le barriere legate all'apparenza fisica, consentendo agli utenti di assumere identità diverse e, in alcuni casi, di sperimentare il mondo dal punto di vista di un altro gruppo sociale. Questo processo può favorire l'empatia e sfidare i pregiudizi radicati (Christofi & Michael-Grigoriou, 2017). Dall'altro, l'anonimato e la distanza emotiva tipici delle interazioni virtuali possono anche amplificare atteggiamenti discriminatori o comportamenti negativi, creando nuove sfide etiche e sociali. Comprendere questi fenomeni non solo ci aiuta a migliorare le esperienze virtuali per renderle più inclusive, ma offre anche spunti preziosi su come affrontare pregiudizi e stereotipi al di fuori del virtuale. La VR, quindi, non è solo un laboratorio per studiare le dinamiche sociali, ma anche uno strumento per modellare interazioni più positive e inclusive nel mondo virtuale e oltre. Ma come funziona davvero e quali sono le sue potenzialità? Esploriamo i processi psicologici potenzialmente alla base degli effetti di riduzione del pregiudizio con la VR e le sue potenzialità nell’influenzare le relazioni umane. Come precedentemente accennato, uno dei fenomeni che rendono possibile la riduzione del pregiudizio nella VR è l’embodiment. Quando i partecipanti assumono l’identità di un avatar diverso da loro, è possible che inizino a identificarsi con quel corpo virtuale come se fosse reale (Blascovich et al., 2022). Ad esempio, una persona caucasica può incarnare un avatar rappresentante una persona mediorientale, oppure un uomo può vivere un’esperienza dal punto di vista di una donna. Questo cambio di prospettiva può modificare il modo in cui i partecipanti percepiscono gli altri nel mondo reale. Perché funziona? Diverse ricerche suggeriscono che l’embodiment attiva l’empatia, permettendo alle persone di immedesimarsi in emozioni e sensazioni fisiche altrui. Sperimentare l’esclusione o la discriminazione in prima persona nella VR può aiutare a comprendere più a fondo il loro impatto (Tassinari et al., 2022).
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