La Realtà Virtuale Contro i Pregiudizi: Un Nuovo Approccio all’Inclusione

È la differenza tra ascoltare il racconto di un’esperienza e viverla personalmente. Nelle forze dell’ordine, ad esempio, gli agenti possono utilizzare la VR per vivere scenari dal punto di vista di membri di comunità marginalizzate. Questo approccio ha mostrato risultati promettenti nell’aumentare le risposte empatiche. In uno studio effettuato da Kishore e colleghi (2021), agenti di polizia hanno incarnato un sospetto afroamericano maltrattato da un altro agente. I risultati hanno mostrato un aumento dei comportamenti di aiuto tra i partecipanti, persino un mese dopo l’intervento. Tuttavia, l’embodiment da solo non garantisce il successo. Una recente revisione sistematica (Tassinari et al., 2022) ha rilevato che molti studi riportano risultati positivi, come un miglioramento degli atteggiamenti verso i gruppi stigmatizzati e una maggiore empatia. Ciononostante, i risultati non sono sempre coerenti. Ad esempio, alcune ricerche mostrano che incarnare avatar rappresentanti membri di minoranze può aumentare i bias invece di ridurli, soprattutto quando l’esperienza VR genera emozioni negative intense, come ansia, frustrazione, senso di isolamento o umiliazione. Queste risposte emotive possono innescare diversi meccanismi di difesa psicologica, fra cui l'evitamento dell’esperienza, il rifiuto dell’identificazione con l’avatar, o una spinta al distanziamento emotivo potenzialmente risultante nella minimizzazione della sofferenza altrui. In un esperimento, i partecipanti incarnavano una persona con la sindrome di Asperger ed erano oggetto di ostilità nell’ambiente virtuale (Hadjipanayi & Michael-Grigoriou, 2020). Invece di favorire la comprensione, l’esperienza peggiorava i bias impliciti verso le persone con la sindrome di Asperger. Un risultato simile è stato osservato anche in un altro studio in cui i partecipanti incarnavano un avatar rappresentante una persona nera. Durante l’esperienza, l’avatar era bersaglio di comportamenti ostili e discriminatori da parte di altri personaggi virtuali. Invece di sviluppare empatia, i partecipanti tendevano a rafforzare i propri atteggiamenti negativi verso le persone nere (Banakou et al., 2020). Cosa spiega questo paradosso? È stato ipotizzato che il tono emotivo dell’esperienza VR sia cruciale. Mentre un lieve disagio può incoraggiare l’empatia, emozioni negative troppo forti possono innescare meccanismi di difesa o di distacco. Questo suggerisce che, in presenza di determinate condizioni, l'embodiment può suscitare reazioni difensive o disidentificazione che ostacolano l'effetto di riduzione del pregiudizio. Sebbene l’embodiment di avatar rappresentanti membri di minoranze sia una delle modalità più studiate per ridurre i pregiudizi attraverso la realtà virtuale, non è l’unico approccio efficace. Molte esperienze VR, infatti, non richiedono di assumere la prospettiva di un’altra persona, ma si basano su interazioni significative in cui gli individui mantengono la propria identità sociale. Un esempio di questo approccio è rappresentato dall’uso della VR per facilitare il contatto intergruppi, dove i partecipanti interagiscono con membri di gruppi diversi in uno spazio virtuale condiviso. Uno studio recente ha esplorato questa dinamica, dimostrando come il contatto intergruppi in VR possa migliorare atteggiamenti impliciti ed espliciti verso i membri di un gruppo stigmatizzato (Tassinari et al., 2024). Nello studio in questione, condotto in Finlandia e in Italia, i partecipanti utilizzavano avatar rappresentanti persone bianche e giocavano in un ambiente virtuale con avatar rappresentanti persone nere (contatto intergruppi) o bianche (contatto intragruppo). Questo studio ha evidenziato che interazioni positive con avatar rappresentanti persone nere migliorava gli atteggiamenti espliciti (nel campione Finlandese) ed impliciti (nel campione Italiano) verso l’outgroup. Oltre a migliorare le relazioni con il gruppo con cui si interagisce direttamente, la VR offre un’opportunità unica per studiare il fenomeno del secondary transfer effect (STE), ossia la possibilità che il contatto intergruppi abbia effetti positivi anche su gruppi non direttamente coinvolti nell'interazione. Per esempio, uno studio condotto in Italia ha coinvolto studenti delle scuole superiori che avevano interazioni positive con persone migranti. I risultati hanno mostrato che questi studenti sviluppavano anche atteggiamenti più favorevoli verso altri gruppi, come persone con disabilità e omosessuali (Vezzali & Giovannini, 2012). Questo fenomeno è stato esplorato anche in VR, in uno studio in cui i partecipanti, persone bianche di origine finlandese, cooperavano con un avatar rappresentate una persona nera, al fine di testare se tale esperienza potesse influenzare anche gli atteggiamenti nei confronti di gruppi minoritari non direttamente coinvolti (Tassinari et al., 2024). I risultati mostrano come interazioni positive con un avatar rappresentante una persona nera riducano gli atteggiamenti negativi verso gruppi minoritari con cui non si è entrati in contatto, come persone di origine mediorientale, musulmane, omosessuali, persone con disabilità intellettive e migranti. Questo effetto sembra derivare dalla generalizzazione degli atteggiamenti che si sviluppano durante l’esperienza di contatto. In questo senso, i risultati sottolineano con forza l'importanza di creare esperienze interattive in VR che promuovano la collaborazione, al fine di favorire un cambiamento positivo nelle percezioni intergruppi. Guardando al futuro, la ricerca sta esplorando modi per rendere le esperienze in VR più efficaci nel promuovere empatia, miglioramento degli atteggiamenti e comportamenti prosociali, e più accessibili a un pubblico ampio e diversificato, comprese persone con limitazioni economiche o disabilità.

Autore/i dell'articolo

Articolo in pdf

Newsletter

Keep me updated about new In-Mind articles, blog entries and more.

Facebook