La pioggia nera. La tragedia atomica tra testimonianza e oblio

In questi anni il Giappone è di moda. Si moltiplicano i viaggi nel Paese del Sol Levante, a cui anche il mondo letterario riserva un’attenzione particolare. Mi colpisce però che le iniziative editoriali guardino alla cultura giapponese o valorizzandone principi arcaici, remoti, che sopravvivono in poche nicchie privilegiate lontane dalle metropoli, o, all’opposto, mettendone in luce aspetti ultramoderni, avveniristici, rappresentati proprio dalla vita frenetica delle metropoli. Tutte comunque paiono condividere il silenzio rispetto alle tragedie di Hiroshima e Nagasaki, ignorate da gran parte della narrativa pubblicata in italiano.[1] Mi sono interrogata su tale silenzio, sul fatto che vada interpretato come un tentativo di distogliere lo sguardo da ciò che non vogliamo vedere o come una vera e propria rimozione di quanto successo. Si tratta di aspetti che gli studi sulla memoria collettiva hanno provato ad affrontare, ma gli interrogativi che attendono risposta sono ancora tanti. Ho letto quindi con grande interesse La pioggia nera di Ibuse Masuji (1965-1966), scoprendo nella bella introduzione di Luisa Bienati, curatrice del volume, come in Giappone la narrazione relativa alla tragedia atomica sia stata e continui a essere significativa, tanto che viene compresa in un apposito genere, genbaku hungaku, che significa appunto “letteratura della bomba atomica”. Per Bienati nella produzione letteraria sulla bomba si possono distinguere diversi periodi: nel primo dopoguerra sono apparsi quasi esclusivamente racconti autobiografici; dopo il 1950, con l’attenuarsi della censura da parte degli occupanti statunitensi, sono state pubblicate opere letterarie e di documentazione scritte anche da autori che non avevano vissuto la tragedia in prima persona; negli anni Sessanta sono invece fiorite opere mature, tra le quali La pioggia nera è considerata l’espressione artistica più compiuta, capace di rendere il senso di quanto successo più delle nude descrizioni realistiche. Due sono, solitamente, le reazioni dei sopravvissuti a un evento estremo: l’oblio, il tentativo di rimuovere quanto accaduto o, al contrario, il racconto, la testimonianza, affinché resti memoria anche tra i posteri. Questa è la strada scelta da Ibuse Masuji, consapevole che non esiste un’unica immagine della bomba, ma esistono tante immagini quante sono i sopravissuti, gli hibakusha; per questo l’autore cerca di dare voce a molti di loro, che raccontano la pioggia nera, ossimoro formato da pioggia, percepita come forza vitale dato che l’acqua, nella tradizione shinto, è portatrice di purezza, e nero, lo sporco, l’impuro portatore di morte del fall out atomico. Il romanzo è narrato in prima persona dal protagonista, Shizuma Shigematsu, che ha assistito a poca distanza all’esplosione della bomba il 6 agosto 1945. Al centro del racconto vi è la figura, toccante, di Yasuco, nipote del narratore, che nessuno vuole sposare perché considerata una hibakusha e sospettata di poter essere colpita dalla “malattia atomica”. Shigematsu decide di copiare il diario della nipote, scritto nei giorni successivi alla catastrofe, per dimostrare alla famiglia di un possibile pretendente che Yasuko nel giorno fatidico era lontana dallo scoppio e non ne avrebbe quindi patito le conseguenze. Durante la copiatura, sopraffatto dai ricordi, Shigematsu amplia il racconto inserendo il proprio diario e ulteriori brani scritti dalla moglie e da altri. La narrazione mescola elementi narrativi ed elementi documentaristici, attinti dall’autore a molte testimonianze dell’epoca, in un resoconto ricco di particolari anche crudi. Il tono resta però calmo, lo sguardo oggettivo. Chi racconta condanna la guerra, ma mai in modo aperto; non vi sono infatti nel testo né indagini sulle cause del conflitto, né ricerche di possibili colpevoli. I personaggi del racconto si sentono ingranaggi di un meccanismo che li sovrasta, la bomba appare loro come un disastro ineluttabile; sono vittime senza colpa, il cui sentimento principale è la rassegnazione. “La guerra paralizza la capacità di giudizio degli uomini” nota, a un certo punto, il protagonista (p. 208) e, più avanti “Guerra maledetta! Vittoria o sconfitta era lo stesso. L’importante che finisse presto. Piuttosto che una guerra ‘giusta’, meglio una pace ingiusta.” (p. 230). Tema centrale dell’opera è il pregiudizio di cui sono stati oggetto i sopravvissuti alla tragedia, considerati pericolosi per i sani. Le discriminazioni hanno riguardato soprattutto le assunzioni lavorative e le prospettive matrimoniali, per la paura che le radiazioni atomiche potessero determinare malattie ereditarie. Si tratta di una forma particolarmente odiosa di pregiudizio, molto diffusa nel Giappone postbellico, illustrata con ampiezza ed efficacia nel Museo memoriale della pace di Hiroshima. Kenzaburō Ōe, nelle Note su Hiroshima (1965), parla della vergogna provata dagli hibakusha, difendendo il loro “diritto al silenzio” e definendo “vergognosa” la nostra incapacità di comprenderla. I sopravvissuti sono stati a lungo colpevolizzati per quanto subito in un quadro persecutorio di cui restano molte tracce nell’odierna società giapponese, come racconta un bel romanzo recentemente apparso in italiano, Sotto la pioggia gentile, che narra il legame tra un islandese e una giapponese (Ólafsson, 2020) . Mentre leggevo i testi citati, ho più volte pensato di non aver mai trovato citata questa particolare forma di colpevolizzazione della vittima nei testi psicosociali che si occupano di pregiudizio; ancora una volta ho l’impressione che tutti partecipiamo, in modo consapevole o inconsapevole, alla rimozione della tragedia inflitta a tanti civili innocenti. Una constatazione che dovrebbe spingerci alla riflessione in questo particolare momento storico, in cui l’opzione atomica pare purtroppo tornare tra le possibili opzioni di una guerra che potrebbe travolgere l’umanità intera.

Bibliografia

Ibuse, M. (1965-66). Kuroi ame. Trad. it.: La pioggia nera. Venezia: Marsilio, 1993. Il volume è stato recentemente ristampato sempre nelle edizioni Marsilio.

Ōe, K. (1965). Hiroshima nōto. Trad. it.: Note

Ólafsson, Ó. (2020). Sotto la pioggia gentile. Torino: Einaudi, 2023.

 


[1] In questo panorama fa eccezione Paolo Giordano che in Tasmania (Milano: Einaudi, 2022), libro a mio parere non entusiasmante, racconta, nelle ultime pagine, un viaggio in Giappone per assistere alle commemorazioni della tragedia atomica che si tengono annualmente a Hiroshima e Nagasaki. Mi ha colpito, durante la lettura, il racconto dell’incontro con una sopravvissuta di seconda generazione, nel quale emerge come l’atomica continui a perseguitare i discendenti degli hibakusha: “Alla fine la bomba ci ha raggiunto in qualche modo” è il commento di uno di loro rispetto all’incapacità di avere figli sani.