È il momento di usare la tecnologia per connetterci
Aristotele [IV secolo A.C.] scrisse che “gli esseri umani per natura sono esseri sociali”. A oltre due millenni di distanza, molti psicologi condividono l’idea che gli esseri umani abbiano un bisogno innato di appartenenza, che ci spinge a formare e mantenere costantemente delle connessioni sociali (Baumeister e Leary 1995). Il bisogno di appartenenza è universale, condiviso da tutti gli esseri umani, e ci accompagna lungo tutto l’arco di vita. Appare quindi evidente come l’isolamento sociale, la principale misura per il contenimento della pandemia, si scontri con la natura intrinsecamente sociale della nostra specie.
La psicologia ha ben documentato gli effetti negativi dell’isolamento sociale. In primo luogo, l’isolamento costituisce una minaccia a quattro bisogno psicologici fondamentali, appartenenza, l’autostima, il bisogno di controllo e il bisogno di percepire la propria esistenza come significativa (Williams, 2009). Le persone che si sentono isolate possono poi esperire una vasta gamma di emozioni negative, dalla tristezza alla rabbia, dalla colpa alla vergogna, dall’ansia al dolore. Infine, l’elaborazione di stimoli cognitivi complessi sembra inficiata negli individui isolati. L’isolamento tende a indurre rimuginio, una forma di pensiero ciclico che riduce la nostra capacità di pensare e concentraci.
Cosa fare quindi nel momento in cui la scienza medica e le autorità governative ci chiedono di stare a casa e ridurre al minimo la nostra socialità? La buona notizia è che viviamo l’era digitale. Le tecnologie digitali vengono spesso accusate di interferire con la naturale “socialità” delle persone. Quando abbiamo la possibilità di un’interazione faccia-a-faccia, queste tecnologie possono interferire nell’interazione tra individui riducendo la soddisfazione delle persone. Fenomeni quali phubbing (ignorare qualcuno perché prestiamo attenzione allo smartphone) o ghosting (smettere di rispondere ai messaggi di un interlocutore senza fornire spiegazioni) sono prototipici di queste forme di interferenza della tecnologia (si veda anche Twenge e collaboratori 2017). Tuttavia, quando queste interazioni faccia-a-faccia non sono possibili, o devono essere significativamente ridotte, le tecnologie digitali possono costituire un valido strumento. A questo riguardo, Waytz e Gray hanno teorizzato che la tecnologia può avere un impatto positivo quando 1) l’utilizzo di questi dispositivi fa da complemento a relazioni faccia-a-faccia profonde e preesistenti e 2) quando l’interazione con queste persone è difficilmente ottenibile in altro modo. In questi giorni ci troviamo esattamente in questa situazione. Non potendo vivere la socialità in presenza fisica come siamo (giustamente) abituati a fare, dobbiamo ricorrere alle tecnologie per connetterci. Molte idee sono già in circolazione: pensiamo ad esempio a fare una colazione o un aperitivo “digitale”, in cui utilizziamo una piattaforma online (es. Skype) per connetterci con i nostri più cari amici o familiari, vedere i loro volti e sentire le loro voci. Ogni giorno possiamo organizzare uno o più momenti di socialità digitale di questo tipo, magari coinvolgendo piccoli gruppi di persone diverse di volta in volta, i familiari, gli amici, le colleghe di lavoro. Queste forme di interazione, seppure mediate, ci consentono di condividere i vissuti e le esperienze, positive e negative, di questi giorni particolari, e sentirci connessi. In attesa di poter tornare presto a riabbracciarci.
Baumeister, R. F., & Leary, M. R. (1995). The need to belong: desire for interpersonal attachments as a fundamental human motivation. Psychological bulletin, 117(3), 497.
Twenge, J. M., Martin, G. N., & Campbell, W. K. (2018). Decreases in psychological well-being among American adolescents after 2012 and links to screen time during the rise of smartphone technology. Emotion, 18(6), 765.
Waytz, A., & Gray, K. (2018). Does online technology make us more or less sociable? A preliminary review and call for research. Perspectives on Psychological Science, 13(4), 473-491.
Williams, K. D. (2009). Ostracism: A temporal need‐threat model. Advances in experimental social psychology, 41, 275-314.
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