Sudafrica: quanto dura l’apartheid?

In occasione di un viaggio in Sudafrica, paese bellissimo dal punto di vista paesaggistico e naturalistico, interessantissimo e disperante per gli aspetti sociali e psicosociali, ho riletto alcuni romanzi ambientati in quel paese, che, con Alberta Contarello, avevamo analizzato per esplorare le relazioni sociali in essi descritte (Volpato & Contarello, 1995). Il primo, anche in ordine di tempo, è Storia di una fattoria africana, comparso nel 1883, capolavoro firmato da Olive Schreiner (1855-1920), scrittrice impegnata su numerosi fronti (emancipazione femminile, diritti dei neri, conflitto anglo-boero) e considerata la madre della letteratura sudafricana. Racconta la storia di tre giovani Boeri che affrontano scelte esistenziali dolorose, osservati da lontano dai servi neri che assistono alle loro vicende come spettatori impenetrabili e silenziosi (Schreiner, 1883). Nel secondo, Il lungo viaggio di Poppie Nonghena, uscito nel 1978, un’autrice afrikaner, Elsa Joubert (1922-2020), raccoglie il racconto di una donna nera di etnia Xhosa, che, attraverso la saga della sua estesa famiglia, descrive la dolorosa epopea del suo popolo, dalle migrazioni forzate verso il Capo all’epoca dell’industrializzazione selvaggia, all’impatto sulla vita quotidiana delle leggi dell’apartheid via via più implacabili, ai trasferimenti imposti nelle homeland, e, infine, al lungo periodo di boicottaggi, scioperi, rivolte seguiti al massacro di Sharpeville. Le relazioni famigliari costituiscono il connettivo profondo che permette la sopravvivenza dei neri in un periodo di sofferta e difficile transizione dalla cultura tradizionale delle terre cafre alla nuova cultura dei ghetti urbani. Qui sono i bianchi a restare sullo sfondo; da lì, però, salvo rare eccezioni, svolgono l’odioso ruolo di persecutori, la cui presenza condiziona in modo minaccioso e ossessivo la vita dei protagonisti (Joubert, 1978). Le situazioni sociali descritte nei romanzi di Schreiner e Joubert sono caratterizzate da confini intergruppi rigidi, per usare i concetti della teoria dell’identità sociale di Tajfel (1981), in cui relazioni d’intimità, di amicizia, ma anche di semplice positiva conoscenza tra bianchi e neri sono inconcepibili. Nei romanzi di Nadine Gordimer (1923-2014, insignita nel 1991 del premio Nobel per la letteratura) sono invece raccontate situazioni sociali più fluide, nelle quali le élite intellettuali cominciano a intravvedere la possibilità di attraversare i confini intergruppi per costruire nuove e più positive relazioni. Il percorso è però accidentato, come testimonia la vicenda narrata in Occasione d’amore, che descrive le vicissitudini di un gruppo di appartenenti alla minoranza liberale bianca di origine anglosassone, al quale si mescola qualche nero. In questo ambiente nasce l’amore tra una giovane donna bianca, Ann, e un giovane artista nero, Shibalo, un rapporto che però non durerà: le occasioni d’amore tra bianchi e neri possono, nell’universo di Gordimer (1963), essere concepite, per breve tempo colte, ma sono comunque destinate a infrangersi sotto il peso dei condizionamenti imposti dalle leggi dell’apartheid. Occasione d’amore, libro che ha dato a Gordimer risonanza mondiale, è del 1963. Negli anni seguenti, la scrittrice ha continuato ad ambientare racconti e romanzi in Sudafrica descrivendo sullo sfondo l’evoluzione politica e sociale del paese, fino alla caduta del regime di apartheid e alle nuove, non sempre facili, convivenze che questa ha consentito. I libri di Gordimer - credo di averli letti tutti mano a mano che Feltrinelli li traduceva - hanno accompagnato la mia formazione culturale e politica; l’autrice è stata per me un’amica, un riferimento, una fonte di ispirazione. Ne cito alcuni che mi hanno particolarmente colpito: Il mondo tardo-borghese, Il conservatore, La figlia di Burger, Un ospite d’onore, Luglio, Nessuno al mio fianco. Bellissimi anche i saggi di Vivere nell’interregno, un titolo che accenna al periodo di passaggio in cui Gordimer si è trovata a vivere e scrivere. In tutti è possibile trovare tracce, nei pensieri e nei comportamenti dei protagonisti, di ciò che succedeva nel paese, fino a uno degli ultimi racconti, Beethoven era per un sedicesimo nero, che narra il rovesciamento culturale per cui, se un tempo tutti desideravano avere almeno una goccia di sangue bianco, oggi è indizio di nobiltà sociale poter vantare un sedicesimo di sangue di colore. Sono stata in Sudafrica, come accennavo, con lo sguardo memore di queste letture. Nelle campagne dell’Overberg ho ritrovato le fattorie boere di Schreiner, nelle homeland di Città del Capo e di Johannesburg ho visto i discendenti di Poppie, nei caffè e nei musei gli intellettuali di Gordimer. Osservandoli, ho pensato, ancora una volta, che la storia è in massima parte frutto del racconto dei privilegiati. La nostra visione è inevitabilmente viziata, parziale, di parte. Uno solo dei libri di cui ho parlato riporta la voce dei neri. Tutti gli altri raccontano, sia pure in modo critico, intelligente e composito, visioni bianche. I neri costituiscono il 90% degli abitanti del paese, i bianchi il 6%. A me è arrivata la voce del 6%.
Seconda notazione. Ho visto nel paese sopravvivere un’enorme disparità sociale, non a caso l’indice di Gini del Sudafrica è tra i più elevati del mondo. Ho visto la disuguaglianza nei quartieri, nelle abitazioni, nei servizi, nei lavori, negli sguardi, negli atteggiamenti, nelle posture. Sono stata ospitata in case in cui, sempre, i padroni erano bianchi e chi serviva nero, e la cosa che più mi ha colpito è che a un certo punto, senza che se ne abbia consapevolezza, ci si conforma, si è portati a non pensarci, a trovare normale lo status quo. Alla disuguaglianza ci si abitua. Soprattutto se si siede tra i privilegiati. Ho pensato che, come psicologi sociali, abbiamo sottolineato troppo poco gli aspetti strutturali nelle nostre analisi del pregiudizio. Al bellissimo museo dell’apartheid di Johannesburg un pannello esplicativo mette in relazione la crisi economica degli anni Trenta, che ha colpito gli agricoltori afrikaner, e l’inasprirsi delle leggi contro i neri. Mi è venuto in mente il famoso articolo di Hovland e Sears (1940) che trovava una correlazione significativa tra le variazioni nei prezzi del cotone dal 1882 al 1930 con i linciaggi di cui erano vittime gli afroamericani nel Sud degli Stati Uniti nello stesso periodo: quando i prezzi del cotone scendevano, i linciaggi aumentavano (Hovland & Sears, 1940). Una lezione da tenere presente, oggi più che mai.
 

Bibliografia

Gordimer, N. (1963). Occasione d’amore. Milano: Feltrinelli, 1984.
 
Hovland, C. I. & Sears, R. R. (1940). Minor studies in aggression: 6. Correlation of lynchings with economic indices. Journal of Psychology, 9, 301-310.
 
Joubert, E. (1978). Il lungo viaggio di Poppie Nonghena. Firenze: Giunti, 1987.
 
Schreiner, O. (1883). Storia di una fattoria africana. Firenze: Giunti, 1986.
 
Tajfel, H. (1981). Gruppi umani e categorie sociali. Bologna, Il Mulino, 1985.
 
Volpato, C., & Contarello, A. (1995). Relations personnelles et culture: Une analyse de textes littéraires. Social Science Information / Information sur les sciences sociales, 34(2), 205-224.