Siamo tutti in una nuova realtà chiamata Coronaville: ecco come viverla al meglio
L’emergenza Covid-19 ci ha trovato impreparati, non eravamo pronti a decodificare i segnali che hanno portato a questa realtà dato che non avevamo nel nostro patrimonio antropologico -personale e collettivo - un codice simbolico necessario a comprendere la portata di ciò che stava succedendo.
È come se ci fossimo tutti ritrovati in una nuova e sconosciuta realtà, un luogo “spazio-temporale” che chiamerei Coronaville: dare un nome alle cose, come ci ha insegnato Zygmunt Bauman è importante non solo come dato tecnico, ma ci aiuta a rappresentare un processo culturale e intellettuale. La Coronaville italiana sta fronteggiando una sfida per comprendere una realtà a noi prima sconosciuta che oggi ci obbliga a ripensare e potenziare valori quali: solidarietà, impegno civile, rispetto delle regole, altruismo. Potremmo provare a immaginare le reazioni psichiche di difesa della popolazione di fronte al nemico invisibile, il virus, collocandole su una curva gaussiana: da una parte estrema la “negazione”, una parte di individui che non riesce ad accettare questa nuova realtà e la legge come un falso allarme, come qualcosa che può capitare solo ad alcuni, ma non a loro. La negazione è un meccanismo primitivo di difesa presente sin dall’infanzia e corrisponde a eliminare inconsciamente una realtà sgradita. Nell’attualità, però, questo meccanismo ha delle potenti implicazioni non solo a livello personale ma sociale perché espone gli altri al grave rischio che corre chi la mette in atto.
All’altro estremo della curva troviamo un funzionamento psichico opposto, l’ipercontrollo: l’ossessiva ricerca di informazioni per essere preparati a tutto, la rincorsa spasmodica all’acquisto massiccio di più beni contemporaneamente, per esempio il cibo, le “ormai introvabili” mascherine, le vitamine, soprattutto quelle ritenute immunostimolanti ecc.; così come, la clausura fobica per cui non è possibile neppure affacciarsi dalla finestra per la paura del contagio.
Ottimisticamente, mi auguro che tra questi due estremi si collochi la maggior parte della popolazione che sta utilizzando il buon senso, segue le indicazioni che ci vengono date dal governo e dalla protezione civile, rispetta le regole, esce solo per comprare i beni di prima necessità, si affida alle fonti ufficiali di informazione. Inoltre, proprio cercando di collocare le riflessioni in maniera utile rispetto al nostro contesto sociale e antropologico, ritengo importante pensare al nostro rapporto con il tempo. In questo momento chi è proiettato nel passato rimpiangendo le cose a cui ha dovuto rinunciare è più esposto allo scoraggiamento e alla tristezza; d’altra parte, chi si proietta solo nel futuro rischia di sperimentare delusione e ansia. Infatti, sappiamo che dobbiamo saper aspettare, tollerare la frustrazione, essere prudenti e vedere come evolveranno le cose. Dunque a Coronaville sta e starà meglio chi vive il momento presente. Le filosofie orientali ci dicono che il momento presente è l’unico momento che esiste davvero. Vivere il momento presente nella sua pienezza vuol dire essere consapevoli di ciò che stiamo provando nel qui ed ora, possiamo permetterci di essere tristi, preoccupati, annoiati nel presente. Questo non significa smettere di organizzare e gestire al meglio il nostro quotidiano. Una cosa è certa: il tempo scorre e sta a noi non sprecarlo.
Bibliografia
Bauman Zygmunt, 2017, Retrotopia, Laterza, Bari-Roma, 2017.
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