Psicologia sociale e letteratura
In un articolo scritto all’indomani dell’11 settembre, Nadine Gordimer [1] citava una frase di Milan Kundera “Per un romanziere, una data situazione storica costituisce un laboratorio antropologico in cui egli esplora il fondamentale interrogativo: che cos’è l’esistenza?”, aggiungendo qualche riga più in là: “Se pure questo interrogativo è irrisolvibile, proprio come la verità ultima è inaccessibile, la letteratura è stata e resta un mezzo per le persone di riscoprire se stesse.” L’affermazione di Gordimer coglie il motivo profondo che sorregge la pratica letteraria: la scrittura permette agli scrittori di conoscere, di conoscersi e di trasmettere tale conoscenza agli altri. E sempre la scrittura, divenuta lettura, permette a chi la esercita di appropriarsi di tale conoscenza.Tenendo presente la lezione di Gordimer, vorrei suggerire in questa sede l’esplorazione di possibili legami tra letteratura e psicologia sociale: le pagine letterarie contengono descrizioni, immagini, pensieri che evocano molteplici visioni del mondo e che possono essere di stimolo agli scienziati sociali sul piano della riflessione teorica o offrire archivi di dati preziosi per corroborare modelli esistenti. Tra gli psicologi sociali, l’autore che più, a mia conoscenza, ha pensato il rapporto tra psicologia sociale e letteratura è stato Serge Moscovici, il quale, nel 1986, ha proposto di studiare i gruppi immaginari descritti nell’universo letterario come se fossero gruppi reali [2]. Il suo invito a realizzare “esperimenti mentali” (Gedankenexperimenten) si basa sull’idea che relazioni, emozioni, comportamenti narrati nelle pagine di romanzi e racconti possano rivelarsi utili alla ricerca psicosociale secondo tre diverse prospettive: a) le dinamiche dei gruppi immaginari descritti nei testi letterari possono essere studiate come se appartenessero a gruppi reali; teorie e modelli psicosociali possono essere usati per interpretare tali dinamiche, allo stesso modo in cui si interpretano i dati raccolti con i metodi tradizionali delle scienze sociali; b) partendo dal fatto che ogni testo letterario contiene protocolli di osservazioni compiute dal suo autore sugli individui, gli eventi sociali, la mentalità di un dato periodo storico e che ciascun protocollo include una teoria psicologica e sociale che non è stata resa esplicita, si possono cogliere e considerare come fonti di pensiero le teorie implicite di scrittrici e scrittori; Moscovici esemplifica tale suggerimento citando il capolavoro di Tolstoy, Guerra e pace, sotteso da un’ampia teorizzazione del ruolo delle masse e dei leader. Proprio perché diverse da quelle scientifiche, le teorie implicite degli scrittori possono aiutare a scoprire nuove prospettive, nuovi problemi, nuove soluzioni rivelandosi fonti generative di pensiero; c) si possono esaminare i contenuti proposti da autori che hanno usato modelli psicosociali come punto di avvio delle proprie narrazioni, modificandoli poi nel corso del lavoro artistico; Moscovici fa a questo proposito l’esempio della psicologia delle masse, nata a livello letterario nei romanzi di Balzac, Flaubert, Maupassant, Tolstoy, divenuta poi oggetto di elaborazione scientifica e come tale tornata nei lavori di Mann e Musil, ripresa poi e rielaborata da scrittori saggisti come Canetti e Broch; la psicologia sociale potrebbe trovare in questa lunga serie di testi spunti e ipotesi da vagliare con i metodi propri dell’approccio scientifico. Nella seconda parte, il saggio di Moscovici offre un esempio concreto del lavoro suggerito, leggendo in modo originale le pagine della Recherche di Proust dedicate all’affare Dreyfus e interpretandole alla luce della teoria dell’influenza delle minoranze. Altri psicologi sociali hanno dimostrato con analisi puntuali che l’interscambio tra psicologia e letteratura può essere prezioso, impiegando i testi letterari come fonte di dati per corroborare teorie scientifiche già esistenti. In tale prospettiva, la narrativa è considerata una sorta di specchio della realtà, che riflette il patrimonio di conoscenze condivise da un dato gruppo sociale in un determinato momento storico. Sono molti gli esempi che si potrebbero fare, illustrati nei lavori che Alberta Contarello ha dedicato a questo argomento [3, 4, 5]. Quello che mi propongo di fare in questo spazio è qualcosa di diverso e più modesto. Vorrei suggerire la lettura di alcuni testi letterari, di diversa impostazione e provenienza, che hanno evocato in me problemi e teorie che la psicologia sociale affronta o ha affrontato nel corso del suo sviluppo. L’intento è quello di segnalare delle narrazioni che contengono spunti, riferimenti, pensieri, idee che hanno attinenza con la riflessione psicosociale e possono illustrare, con la potenza della scrittura letteraria, una serie di tematiche in modo vivido e coinvolgente, più di quanto non siano soliti fare gli articoli scientifici. Lo scopo è continuare quell’interscambio tra psicologia sociale e letteratura, che si è rivelato proficuo nel passato, perché continui a esserlo nel futuro.
Bibliografia
[1] Nadine Gordimer (2002). Se lo scrittore è testimone dell’orrore. La Repubblica, 17 agosto.
[2] Serge Moscovici (1986). The Dreyfus affair, Proust and social psychology. Social Research, 53, 23-56.
[3] Contarello, A. (2008). Social Psychology and Literature: Toward Possible Correspondence. In: Sugiman T., Gergen, K. J., Wagner W., Yamada, Y. (Eds) Meaning in action. New York: Springer, pp. 303-325.
[4] Contarello A., Gargioni M., Mazzotta A. (2003). Individuals in societies. The potential of literary texts analysis for societal psychology. In: Làszlò J., Wagner W. (Eds) Theories and controversies in societal psychology. New Mandate, Budapest Hungary, pp. 131–152.
[5] Contarello A., Volpato C. (2002). Social representations, narrative, and literary texts. In: László J, Stainton Rogers W (Eds) Narrative approaches in social psychology. New Mandate, Budapest, pp. 74–87.
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