Le radici psicologiche della disuguaglianza. Un libro di Chiara Volpato.
"I nostri leader … ci parlano di leggi economiche – sacre, inviolabili, immutabili – che causano situazioni di panico che nessuno può prevenire. Ma mentre essi blaterano di leggi economiche, uomini e donne muoiono di fame. Dobbiamo essere coscienti del fatto che le leggi economiche non sono fatte dalla natura. Sono state fatte da esseri umani” (Franklin Delano Roosevelt, Guardare al futuro).
Fra le tante citazioni incluse nel bellissimo libro di Chiara Volpato, Le radici psicologiche della disuguaglianza, questa è tra quelle che più mi colpiscono. Colpisce il richiamo al fatto che le leggi economiche non cadano dall’alto, ma siano il frutto del nostro operato, che possano quindi cambiare.
In un periodo di crisi economica e sociale come quello che l’Italia (e non solo l’Italia) sta attraversando, Volpato ci offre una rassegna di studi economici, epidemiologici, sociologici e psicosociali per spiegare perché le leggi economiche, e soprattutto le disuguaglianze che ne derivano, vengano spesso percepite come inevitabili o, peggio, inalterabili.
Dopo una interessante introduzione storica concernente le origini della disuguaglianza, l’autrice dettaglia la situazione mondiale e italiana e, supportata da un considerevole numero di studi empirici, spiega perché una società diseguale è una società fragile, dove problemi e tensioni sociali sono esacerbati, le persone sono più infelici e si ammalano di più. La domanda sembra dunque inevitabile: perché le persone non reagiscono, non protestano, non cercano di cambiare le cose? Per rispondere a queste domande arriva il contributo della psicologia sociale, che indaga i processi psicologici coinvolti nel mantenimento di un sistema iniquo.
Dopo aver sottolineato l’importante lezione di Pierre Bourdieu sull’impatto che la classe sociale ha su ogni aspetto della vita delle persone, nei capitoli centrali del suo libro l’autrice racconta la costruzione e il mantenimento delle disuguaglianze dal punto di vista di “dominanti” e “dominati”. La disuguaglianza va innanzitutto riconosciuta, cosa niente affatto ovvia come riportato nei lavori descritti. Spesso viene sottostimata e se non se ne ha percezione, o percezione corretta, non ci si può opporre. I processi psicosociali concorrono ad offuscare tale percezione.
L’ideologia meritocratica, per esempio, cementa le disparità. Se si accetta che chi ha talento e si impegna è giusto ottenga più degli altri, non curandosi del fatto che ricchi e poveri hanno un capitale culturale di partenza molto diseguale (come spiega Bourdieu), si legittimano e si giustificano le disuguaglianze. Questa ideologia si rispecchia anche nel contenuto degli stereotipi delle élite economiche, così come in quello delle classi più svantaggiate. Sebbene comunemente non amati, ai ricchi vengono infatti attribuite capacità, competenze e intelligenza che li collocano “legittimamente” in cima alla scala sociale. Ne deriva un senso di entitlement, dove la disuguaglianza trova una spiegazione. Il privilegio è meritato e va difeso. Al contrario, ai poveri si negano tali competenze, sebbene talvolta si attribuiscano loro tratti di socievolezza e moralità. Una strategia compensatoria per cui ogni classe sociale ha qualcosa di positivo. Ed ecco l’equilibrio, la percezione del sistema come “giusto”, il mantenimento dello status quo. Ciò che forse potrebbe sorprendere il lettore di questo saggio è scoprire che gli stessi miti legittimanti e gli stessi stereotipi sono condivisi anche da chi paga il prezzo più alto della disuguaglianza, le classi svantaggiate, che arrivano persino ad interiorizzare la loro inferiorità.
Il libro di Chiara Volpato è un’accurata e complessa rassegna di studi, organizzati in uno stile narrativo piacevole e riflessivo. C’è molto più di quanto raccontato in queste poche righe. Ma sebbene il quadro descritto sin qui possa sembrare senza speranza, Volpato unisce la sua voce a quella di molti altri ricercatori in diverse discipline sottolineando l’importanza della politica e dell’istruzione. Come notato da Piketty “la storia della distribuzione delle ricchezze è sempre una storia profondamente politica”. Dunque, se nelle scelte politiche si trova la ragione della disuguaglianza, in esse si può anche trovare il cambiamento. Creare pari opportunità di accesso all’istruzione e alla formazione è compito della politica e della società civile che, con le sue scelte, può influenzare questo processo.
La maggior parte delle società umane si stratifica per potere e status, ma alcune sono più diseguali di altre. La stratificazione può essere virtualmente inevitabile, ma la disuguaglianza drammatica non lo è.
Il messaggio finale del libro è dunque chiaro: possiamo perseguire maggiore uguaglianza, perché le leggi economiche le facciamo noi.
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