Le famiglie adottive e la “lunga” pandemia: quali risorse e vulnerabilità?

L’emergenza sanitaria legata alla diffusione del Covid-19 ha rappresentato per tutte le famiglie un’onda di eventi nuovi e imprevedibili; basti pensare alla difficile gestione della vita familiare e lavorativa, all’interruzione delle routine quotidiane, alla perdita delle interazioni sociali e dei luoghi di socializzazione extra-domestica, sopra tutti la scuola. Il fatto poi che tali eventi si siano cronicizzati nel tempo ne ha acuito l’impatto e li ha addirittura resi potenzialmente traumatici. Numerose ricerche hanno evidenziato un incremento dello stress genitoriale e dell’incidenza del disagio psicologico nei genitori, tra cui ansia, depressione e stress post-traumatico (ad es., Fontanesi et al., 2020; Marchetti et al., 2020; Patrick et al., 2020; Russell et al., 2020; Spinelli et al., 2020), così come nei/lle figli/e, per i/le quali l’esperienza pandemica ha chiaramente aumentato il livello di distress psicologico (Nocentini et al., 2021) e la manifestazione di sintomi depressivi (Liu & Wang, 2021). In questo contesto emergenziale è utile considerare che, come largamente documentato nella letteratura psicologica (ad es., Linley & Joseph, 2004), vivere esperienze stressanti e traumatiche può produrre anche cambiamenti positivi nelle persone, che, attraverso l’attivazione nelle persone di molteplici risorse a livello personale, relazionale e sociale, possono cogliere opportunità di crescita anche a seguito di situazioni difficili. In accordo con l’approccio salutogenico (Antonovsky, 1987), possiamo considerare la crisi in una doppia accezione: da un lato, come fatica e dolore che porta al depauperamento delle risorse e alla percezione delle difficoltà che la situazione contingente pone all’individuo; dall’altro, come opportunità inattesa di cambiamento, arricchimento e crescita. È noto, infatti, come sia proprio nelle condizioni di difficoltà che emergono le risorse (Iafrate et al., 2021). In questa direzione, diversi studi hanno mostrato come i genitori, durante la pandemia, abbiano riportato allo stesso tempo sia un certo numero di cambiamenti negativi nella vita familiare, legati alle condizioni imposte dall’emergenza sanitaria, sia un incremento di cambiamenti positivi, riconducibili in ultima analisi alla possibilità di trascorrere più tempo in famiglia con i propri figli e le proprie figlie (ad es., Ares et al., 2021; Ayuso et al., 2020; Canzi et al., 2021; Huebener et al., 2021; Orgilés et al., 2020; Rudolph & Zacher, 2021). La maggior parte di queste conoscenze a oggi riguarda i genitori con figli/e biologici/che, per i quali il passaggio alla genitorialità si è configurato come “normativo”, ossia tipico e prevedibile nel ciclo di vita della famiglia (Scabini & Iafrate, 2019). Ma cosa sappiamo delle famiglie che sono diventate tali attraverso un processo “non normativo”, ovvero un processo che non tutte le famiglie attraversano e quindi meno prevedibile negli esiti? La nostra attenzione si è rivolta in particolare alle famiglie adottive e a come queste abbiano affrontato le sfide poste dalla pandemia. Da una parte, potremmo aspettarci che queste famiglie, dato che hanno già vissuto numerose esperienze stressanti – come di frequente l’infertilità di coppia, il lungo iter adottivo, le difficoltà specifiche dei propri figli e delle proprie figlie che hanno un passato “ferito” in primis dall’abbandono – per l’accumulo di stress, si trovino in una condizione di particolare vulnerabilità. Sappiamo, infatti, che la co-occorrenza di più eventi critici più o meno prevedibili, il cosiddetto pile-up, depaupera le risorse e rende assai arduo affrontare le sfide poste dalla vita (Pearlin, 1991). Dall’altra parte, potremmo anche ipotizzare che queste famiglie, avendo già attraversato non poche esperienze stressanti, siano di fatto più abili nel reperire risorse e metterle in gioco per affrontare nuove sfide, ipotizzando che quelle stesse esperienze possano essere una sorta di “capitale” a cui attingere o possano aver rappresentato una “palestra” e i genitori adottivi siano di conseguenza individui più “ricchi” e “allenati”. A sostegno di questa ultima ipotesi e contrariamente allo stereotipo diffuso nell’opinione pubblica, la letteratura scientifica mostra come le famiglie adottive siano dotate di  numerose risorse: i genitori adottivi risultano riportare livelli simili o addirittura inferiori di stress nella cura dei figli e delle figlie rispetto ai genitori non adottivi, mostrano un buon funzionamento di coppia, specialmente nei termini di coesione, di supporto e di interdipendenza tra i partner, un più elevato coinvolgimento e vicinanza alla comunità sociale (ad es., Bird et al., 2002; Canzi et al., 2019a, 2019b; Ceballo et al., 2004; Judge, 2003; Lansford et al., 2001; Levy-Shiff et al., 1990; Palacios & Sanchez-Sandoval, 2006; Rosnati et al., 2013). Come hanno affrontato queste famiglie il lungo tempo della pandemia? Grazie alla collaborazione con Human Highway s.r.l. e all’interno di un più ampio progetto di ricerca condotto da un’équipe del Centro Studi e Ricerche dell’Università Cattolica di Milano 2021 (Regalia et al., 2020), abbiamo chiesto a un campione di 1.011 genitori italiani (69.5% donne; età media pari a 52 anni; range di età compreso tra i 22 e i 79 anni) di partecipare a una survey on line nel periodo intercorso tra maggio e ottobre. Da alcuni primi risultati sono emerse interessanti differenze in funzione della struttura familiare: in particolare, abbiamo messo a confronto le esperienze di genitori con figli/e biologici/che in coppie intatte (60.7%, N = 614) o separate (12.5%, N = 126) e di genitori con figli/e adottivi/e in coppie intatte (26.8%, N = 271) [1].

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