Depressione e ansia: quale legame con la demenza?

Secondo un report pubblicato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Marzo 2022), nel primo anno della pandemia di COVID-19 si sarebbe verificato un aumento importante nella prevalenza globale dei disturbi d’ansia (+25.6%) e della depressione maggiore (+27.6%; vedi glossario). Il confronto è stato effettuato con gli anni precedenti alla pandemia, ed il fenomeno è ancora oggetto di studi e verifiche da parte dei ricercatori e delle ricercatrici in tutto il mondo, che hanno formato un gruppo dedicato, chiamato “COVID-19 Mental Disorders Collaborators”. Anche in Italia si sarebbe verificato questo fenomeno. Nello specifico, è stato riportato che, confrontando i dati raccolti nel corso del 2020 con quelli provenienti sia dal periodo immediatamente precedente all’inizio della pandemia sia dal biennio 2018-2019, si sarebbe verificato un aumento dei sintomi depressivi soprattutto nelle donne, nelle persone giovani, e nelle persone in difficoltà economica (Gigantesco et al., 2022; si veda anche Medda et al., 2022). Questi dati si accompagnano a quelli provenienti da studi condotti e pubblicati prima della pandemia, e che suggerivano già allora una tendenza all’aumento dei casi e delle richieste di trattamento per disturbi psicologici (Olfson et al., 2015; Lipson et al., 2019; Rehm & Shield, 2019), aumento in parte dovuto anche all’incremento globale della popolazione, nonché al miglioramento delle capacità diagnostiche e alla diminuzione dello stigma nei confronti del disagio psicologico (Baxter et al., 2014). Nel loro complesso, quindi, si tratta di dati che hanno senz’altro contribuito a una maggiore attenzione da parte di scienziati/e e istituzioni alla salute mentale. Facendo di nuovo riferimento al contesto italiano, nel 2022 sono stati ultimati i lavori della Consensus Conference sulle terapie psicologiche per ansia e depressione, un’importante iniziativa costituita nel 2016 e che potrà contribuire al miglioramento delle politiche nel campo della salute mentale in Italia. Sempre nel 2022, in Italia è stato previsto il cosiddetto ‘Bonus Psicologo’, ossia un contributo messo a disposizione dallo Stato per sostenere le spese relative a sessioni di psicoterapia. Si tratta sicuramente di risposte molto importanti, soprattutto se si considerano le potenziali conseguenze che disturbi d’ansia e depressione, non adeguatamente trattati, potrebbero avere sulla salute degli individui, sia nell’immediato sia nel lungo termine. Una di queste conseguenze, secondo evidenze recenti, sembrerebbe essere l’aumento del rischio di sviluppo di demenza (vedi glossario) nell’età senile. Per demenza intendiamo quella condizione patologica caratterizzata da una progressiva perdita della funzionalità del cervello, delle funzioni cognitive e dell’autonomia della persona. Quando si parla di demenza, spesso si pensa alla malattia di Alzheimer, ossia a una patologia neurodegenerativa che rappresenta la prima causa di demenza oggigiorno. Tuttavia, esistono altre patologie che sono associate all’insorgenza di demenza, come ad esempio le alterazioni del sistema circolatorio cerebrale (demenza vascolare, vedi glossario), e la malattia a corpi di Lewy, caratterizzata dall’accumulo anomalo di corpi proteici che danneggiano le cellule cerebrali. Ad oggi, secondo l’OMS, nel mondo più di 55 milioni di persone soffrono di demenza. Inoltre, le stime attuali prevedono un incremento importante dei casi, con più di 130 milioni di persone affette da demenza entro il 2050 (Nichols et al., 2022; Sengoku, 2020;). Purtroppo, si tratta di una patologia ancora priva di una cura efficace, e che è, quindi, oggetto di moltissimi studi in tutto il mondo. Questi studi vengono infatti condotti con l’obiettivo di comprendere a pieno i meccanismi patologici che causano la demenza, con lo scopo di sviluppare un trattamento efficace in grado di arrestarla, nonché di individuare possibili strategie preventive. Grazie a questi studi oggi sappiamo che esistono numerosi fattori di rischio modificabili per lo sviluppo di demenza, ossia delle condizioni che ne possono aumentare la probabilità, ma su cui, al contempo, noi possiamo agire. In un recente studio pubblicato sulla rivista The Lancet, una commissione di ricercatori formatasi per studiare i meccanismi di prevenzione, intervento e cura della demenza, ha elencato una lista di ben 12 fattori di rischio modificabili per la demenza (Livingston et al., 2020). Questi fattori di rischio, secondo gli autori, sarebbero responsabili del 40% dei casi di demenza. Ciò vuol dire che, se si potessero eliminare tutti e 12, quasi la metà dei casi di demenza potrebbe essere evitata. Tra questi, insieme a ipertensione, obesità, alcol, fumo, diabete, inquinamento dell’aria, trauma cranico, perdita dell’udito, inattività fisica, basso livello di scolarità, isolamento sociale, è stata inserita la depressione (Livingston et al., 2020). Come si può vedere dall’elenco, si tratta di una lista che pone l’accento su diversi aspetti, tra cui emergono la salute fisica e quella psicologica. Secondo alcuni studiosi, il legame tra salute psicologica, soprattutto depressione, e demenza, è stato relativamente sottovalutato (Dafsari & Jessen, 2020), ed è quindi per questo che il presente articolo vuole prenderlo in esame, al fine di sensibilizzare i lettori e le lettrici all’adozione di uno stile di vita in cui la salute psicologica venga considerata importante tanto quanto quella fisica, fin dalla giovane età. Infatti, prima di descrivere i meccanismi biologici che legano depressione e demenza, è bene sottolineare che, quando si parla di depressione come fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di demenza, si parla di depressione che si manifesta in ‘giovane età’, ossia prima dei 60 anni.

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