Editoriale: Introduzione alla special issue di In-Mind Italia sul tema delle adozioni

Per anni l’Italia ha avuto il primato europeo per il numero di bambini che ogni anno entrano nel nostro Paese attraverso il canale dell’adozione internazionale e oggi molti di loro sono adolescenti e adulti. Ma dell’adozione cosa si sa? E quali sono gli atteggiamenti diffusi nei confronti delle persone adottate? Questo tema è particolarmente rilevante perché sappiamo dalle ricerche psicosociali che vivere in un contesto sociale discriminante ha un impatto negativo sul benessere psicologico. Al contrario, per promuovere il benessere delle persone adottate è importante che ci sia un contesto a basso livello di pregiudizio verso l'adozione, capace di riconoscere e dare valore alla differenza. È purtroppo oggi noto invece quanto le persone adottate possano soffrire a causa dell’esperienza discriminatoria di cui sono non di rado vittime. ItaliaAdozioni ha questo proposito ha messo a disposizione un video “La famiglia non è solo DNA, è sentimento. Casa Surace sull’adozione di bambini” che presenta con ironia alcuni degli stereotipi oggi diffusi in Italia sull’adozione: con questa special issue ci proponiamo di approfondire i temi connessi ad alcuni di questi che di seguito elenchiamo e di offrire alcune evidenze empiriche utili a diffondere una cultura scientificamente fondata di questi fenomeni. Ma è brasiliano! Ce l'ha nel sangue". Essere confusi con gli immigrati è una delle esperienze comuni tra gli adottati di diversa etnia che vivono in Italia; tra gli stereotipi più diffusi c’è l’impossibilità di veder riconosciuta la propria italianità alla luce della differenza etnica di cui sono portatori. I percorsi di integrazione e acculturazione delle persone adottate necessitano di essere letti nel ben più ampio contesto di confronto tra gruppi culturali ed etnici differenti, oggi sempre più consistenti in Italia. L’esperienza dell’adozione internazionale è infatti solo una delle possibili traiettorie di arrivo in Italia che si aggiunge ai ben più noti percorsi migratori di prima e seconda generazione. Il filone di studi presentato da Ferrari e collaboratori si focalizza su quel “percorso migratorio in solitaria” vissuto da chi, a seguito dell’adozione, abbandona cultura, cibo, sapori, odori e lingua madre per assumerne di nuovi. Le ricerche presentate mettono in evidenzia come e attraverso quali modalità le persone in adozione internazionale possono sperimentare e vivere la propria doppia appartenenza - ad un contesto etnico di origine e alla cultura del contesto in cui vivono - e come possono integrare a livello identitario questi aspetti di sé dando ampio spazio al ruolo fondamentale giocato dal contesto familiare e sociale nel sostenere il processo di definizione di sé e il benessere psicosociale delle persone adottate. “Ha questi problemi perché è adattato”: nell’adozione incontriamo solo fragilità come il senso comune ci porta a credere? Canzi e collaboratori a partire da un’analisi delle capacità delle famiglie adottive e non adottive di far fronte agli stressor della pandemia, portano a riflettere sui rischi, ma anche sulle risorse delle famiglie adottive. La crisi pandemica ha infatti rappresentato una preziosa occasione per evidenziare come genitori, figli e figlie adottive siano allenati a far fronte alle sfide e siano, in ultima analisi, assai resilienti. L’adozione porta con sé complessità tali da attivare nella famiglia adottiva la capacità funambola di restare “in equilibrio” nelle difficoltà, di sapersi adattare agli alti e bassi che i propri figli portano nella relazione (alternando il desiderio di essere tenuti alla paura di essere lasciati), di riuscire a fare i conti con l’imprevedibile e il non noto (di origini altre da accogliere e fare diventare familiari), di fronteggiare e accompagnare i molteplici traumi (spesso subito dai figli). Con queste stesse risorse hanno affrontato lo stress e i cambiamenti innescati nella vita familiare dalla pandemia. “Ma non vuoi andare a cercare i tuoi veri genitori?”. Il contributo di Casonato si focalizza sullo stereotipo del “dover tornare” e sul bisogno di ricerca delle origini suggerendo quanto non possa essere ridotto ad una questione di conoscenza di informazioni e/o ricerca di contatti diretti, ma piuttosto rappresenti una parte, di per sé né sufficiente né indispensabile, di quel percorso identitario interiore di attribuzione di senso alla propria storia e di ricerca del filo rosso che lega e tiene insieme i capitoli della propria storia. “Non è veramente figlio vostro”. L’appartenenza della persona alla famiglia che l’ha adottata sarebbe messa in discussione dall’esistenza dei “veri” genitori. In base a questo pregiudizio i figli adottivi non potrebbero essere considerati “veri figli” né i loro genitori adottivi “veri” genitori. I processi di cura genitoriale e di filiazione sarebbero messi in scacco dalla differenza delle origini e l’effetto negativo delle esperienze precoci avverse sul legame genitori figli e sul benessere psicologico individuale sarebbe incolmabile. A queste rappresentazioni stereotipiche si rivolge il lavoro di Balenzano e collaboratori che, passando in rassegna alcuni studi condotti su questo tema, evidenziano cosa significhi per un bambino esperire una relazione di cura dopo le esperienze avverse vissute nei primi anni di vita e mettono in rilievo la centralità della qualità della relazione genitori figli quale occasione favorevole per un recupero consistente dell’iniziale svantaggio in termini di crescita psicofisica. La special issue non intende certo essere esaustiva rispetto ad una tematica così ampia e articolata, ma si propone di innescare curiosità e interesse in chi intende avventurarsi nel mondo complesso e delicato dell’adozione. Tale viaggio richiede competenze e conoscenze approfondite, specifiche e scientificamente fondate perché si possano aprire nuovi sguardi su questa esperienza familiare al tempo stesso così arricchente e sfidante.

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