Le famiglie adottive e la “lunga” pandemia: quali risorse e vulnerabilità?

Attraverso una tecnica statistica che si chiama cluster analysis, le risposte dei genitori hanno delineato diversi profili in relazione alla percezione di cambiamenti nella vita familiare, sia positivi sia negativi.

In particolare, è emerso che i genitori adottivi hanno maggiore probabilità, rispetto ai genitori con figli biologici (in coppie sia intatte sia separate), di appartenere al gruppo che percepisce un alto livello di cambiamenti positivi della vita familiare durante la pandemia e un numero piuttosto contenuto di cambiamenti negativi (un modo di vedere la realtà che abbiamo denominato a “tonalità chiare”). Questa modalità di reazione agli stressor della pandemia, piuttosto diffusa nelle famiglie adottive, sembra associarsi a più bassi livelli di distress psicologico: la capacità di dare maggiore peso agli aspetti positivi che a quelli negativi, che, anche laddove vengano riscontrati, sono sempre in qualche modo gestiti, sembra dunque la strategia più funzionale. Queste famiglie, dunque, non risultano essere immuni allo stress, piuttosto sembrano in grado di trovare nuovi significati agli eventi stressanti legati all’emergenza sanitaria e di trarne un’occasione di crescita personale. Al contrario, i genitori focalizzati esclusivamente sui cambiamenti negativi non sembrano in grado di cogliere queste possibilità di rilancio oltre la sfida. I genitori adottivi hanno, inoltre, una minore probabilità di appartenere, così come emerso dall’analisi statistica sopra citata, a quel gruppo di genitori che ha mostrato di percepire alti cambiamenti sia positivi sia negativi, una modalità che è stata denominata “iper-reattiva”. Si tratta di una modalità riconducibile in buona sostanza a un’alta reattività emotiva, ossia la tendenza a reagire eccessivamente alle influenze, sia positive sia negative, che provengono dall’ambiente circostante, modalità che è risultata scarsamente funzionale in quanto associata a più alti livelli di distress psicologico. I genitori adottivi, quindi, risulterebbero più capaci di reagire dal punto di vista emotivo in modo equilibrato di fronte agli stressor della pandemia. Questi risultati sono in linea con quanto emerso dalle ricerche svolte prima del Covid-19 (ad es., Bird et al., 2002; Canzi et al., 2019a, 2019b; Ceballo et al., 2004; Judge 2003; Lansford et al., 2001; Levy-Shiff et al., 1990; Palacios & Sanchez-Sandoval, 2006; Rosnati et al., 2013) e possono essere ora estesi anche al periodo specifico della pandemia: i genitori adottivi risultano essere meglio equipaggiati e avere più risorse da attivare nelle situazioni di crisi. Come sopra ipotizzato, attraversare le sfide legate al percorso adottivo potrebbe in qualche modo essere servito come una sorta di “training”, portando a un potenziamento di abilità e competenze che sono risultate utili per affrontare ulteriori eventi critici inattesi e potenzialmente traumatici, come appunto la pandemia. Non dimentichiamo poi che le coppie adottive hanno dovuto intraprendere un percorso di selezione, oltre che di preparazione, formazione e valutazione, da cui potrebbero esserne uscite rafforzate e meglio equipaggiate e che hanno la possibilità di ricevere sostegno e accompagnamento nel post-adozione da parte dei professionisti che le hanno prese in carico. Al fine di approfondire ulteriormente questi risultati, è stata poi posta attenzione specifica alle madri (Ferrari et al., 2022) [2], che, come diverse ricerche hanno evidenziato, sono state particolarmente colpite dalla situazione pandemica per la difficoltà a conciliare i tempi dell’occupazione lavorativa e le necessità straordinarie di cura dei/lle figli/e imposte dalle misure restrittive (Marchetti et al., 2020; Molgora & Accordini, 2020; Petts et al., 2021). In questa direzione, è stato operato un confronto tra madri con figli/e adottivi/e di età compresa tra i 6 e i 25 anni e un gruppo analogo di madri con figli/e biologici/che entro il medesimo range di età (numero totale = 445 di cui il 40.9% madri adottive). Il quadro che ne è emerso è piuttosto variegato. Le madri adottive hanno riportato livelli inferiori di stress percepito in relazione alla pandemia, nei termini di paura per il virus e di presenza di sintomi post-traumatici, rispetto alle madri con figli/e biologici/che. In linea con quanto emerso in precedenza, questi risultati convalidano l’idea che le madri adottive abbiano in qualche modo imparato a far fronte alle conseguenze negative che derivano dal vivere esperienze stressanti e siano pertanto meno vulnerabili di fronte a nuovi eventi critici. Inoltre, è risultato che le madri adottive possiedono più risorse a livello individuale, di coppia e sociale, rispetto alle madri con figli/e biologici/che: riportano, infatti, livelli superiori di senso di coerenza (Antonovsky, 1987), ossia la capacità di percepire gli eventi (tra cui quelli stressanti) come prevedibili, gestibili e controllabili, e punteggi superiori di supporto percepito sia da parte del partner sia dalla rete amicale. Nel leggere questi dati è importante tenere conto delle sfide aggiuntive che i genitori adottivi incontrano nel loro percorso. Certamente la pandemia si configura come evento sociale di natura differente, ma il bagaglio di competenze appreso dai genitori lungo il loro cammino di famiglia adottiva, così come le risorse individuali e relazionali disponibili, potrebbero averli resi più capaci di affrontare e risignificare gli aspetti traumatici dell’emergenza sanitaria. Il quadro, però, offre non pochi chiaroscuri per quanto concerne la qualità della relazione genitore-figlio/a.

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