La realtà virtuale come strumento di comprensione delle diverse identità di genere

Un secondo aspetto è rappresentato dall’opportunità di poter utilizzare l’avatar per esplorare la propria identità di genere: i partecipanti hanno infatti riportato benefici nel poter esplorare versioni ideali di sé stessi, potendo fare chiarezza su come avrebbero voluto apparire in futuro. Tuttavia, la letteratura sull’utilizzo della realtà virtuale in relazione all’identità di genere risulta ancora limitata. Un contributo rilevante è rappresentato dal lavoro di Freeman e colleghi (2022), che hanno intervistato 15 persone non cisgender sull’uso della realtà virtuale sociale, ovvero di ambienti virtuali condivisi accessibili tramite dispositivi VR. I partecipanti hanno riportato che l’esperienza di indossare avatar differenti ha avuto un ruolo fondamentale nella costruzione, nel consolidamento e nella comprensione della propria identità di genere. La possibilità di personalizzare gli avatar, ad esempio attraverso l’abbigliamento o gli accessori, è stata descritta come un elemento chiave nel processo di esplorazione e affermazione delle identità non conformi al genere assegnato alla nascita. Inoltre, l’incarnazione di avatar a corpo intero è stata definita un’esperienza estremamente significativa, in quanto ha permesso di vivere in modo realistico e immersivo un corpo diverso dal proprio. Per alcune persone, si è trattato della prima occasione in cui hanno potuto sentire in maniera vivida e concreta un corpo più allineato alla propria identità, fornendo un senso di conforto, affermazione e validazione profonda.

 

La realtà virtuale come strumento per la riduzione dei pregiudizi verso le persone transgender

 
Parallelamente a questa prospettiva individuale di esplorazione del Sé, un secondo filone di ricerca si concentra sull’uso della realtà virtuale come strumento per promuovere la comprensione intergruppi e contrastare stereotipi e pregiudizi. In particolare, la ricerca suggerisce che il processo di embodiment in un avatar appartenente a un gruppo stigmatizzato può contribuire alla riduzione del pregiudizio che inconsciamente si nutre verso quel gruppo. Esperienze di embodiment in corpi con tratti etnici differenti da quelle dell’utente hanno mostrato effetti significativi sulla riduzione dei pregiudizi e sull’aumento dell’empatia verso persone appartenenti ad un gruppo sociale diverso dal proprio (Peck et al., 2013; Maister et al., 2015; Banakou et al., 2016). La realtà virtuale, in questo senso, non si limita a “far vedere il mondo con gli occhi dell’altro”, ma consente letteralmente di sentirsi nell’altro corpo, sperimentando emozioni e interazioni sociali da un punto di vista nuovo, profondamente legato al Sé sociale e individuale. Applicare questa logica al contesto dell’identità di genere apre scenari di ricerca ancora poco esplorati, ma ricchi di potenziale. La possibilità di far vivere a un utente, attraverso un’esperienza immersiva in prima persona, situazioni quotidiane di esclusione, discriminazione o micro- aggressione subite da una persona transgender, può attivare processi empatici altrimenti difficili da stimolare. Un esempio dell’efficacia di interventi di questo tipo è dato dallo studio di Seinfeld e colleghi (2018), i quali hanno mostrato come il processo di embodiment in un avatar di genere femminile e l’esposizione ad un’aggressione da parte di un uomo aumenta la capacità di provare empatia nei confronti della vittima in un gruppo di partecipanti uomini colpevoli di violenza domestica. Inoltre, la realtà virtuale consente di superare il limite della scarsa familiarità con gruppi social diversi dal proprio (si veda anche la voce outgroup del glossario): laddove l’incontro diretto con persone transgender può essere raro o assente, la VR permette di simulare situazioni sociali credibili e di osservare gli effetti psicologici di tali esperienze su atteggiamenti e comportamenti (Tong et al., 2020; Ventura et al., 2021). Questo approccio esperienziale può quindi rappresentare una nuova frontiera per la sensibilizzazione, l’educazione e l’intervento psicosociale, soprattutto in un’epoca in cui l’inclusione delle persone gender-diverse rappresenta una sfida ancora aperta in molti contesti.

 

Prospettive future di ricerca e intervento

 
Alla luce di queste premesse, si delineano numerose direzioni di ricerca future che potrebbero contribuire in modo sostanziale sia all’avanzamento teorico in psicologia sociale e clinica, sia alla progettazione di strumenti applicativi innovativi. Una prima linea di indagine potrebbe esplorare l’efficacia dell’embodiment prolungato in avatar congruenti con l’identità di genere sentita nel promuovere il benessere psicologico, ridurre il disagio legato alla disforia di genere o rafforzare l’autoefficacia e la coerenza narrativa del Sé. Parallelamente, studi longitudinali potrebbero valutare gli effetti di esperienze immersive ripetute su aspetti quali la costruzione identitaria, la resilienza o il coping nei percorsi di affermazione di genere. Interventi mirati potrebbero sfruttare la realtà virtuale come strumento di accompagnamento durante la transizione, permettendo alle persone transgender in fasi iniziali del percorso di affermazione di genere di sperimentare l’aspetto fisico che potrebbero avere in futuro, e come tale aspetto si relaziona con la loro presenza sociale. Un secondo ambito promettente riguarda lo sviluppo di ambienti virtuali personalizzati per accompagnare processi di esplorazione identitaria, in particolare per persone non-binarie o gender-questioning (si veda il glossario), offrendo spazi protetti e modulabili per la sperimentazione del Sé.

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