La realtà virtuale come strumento di comprensione delle diverse identità di genere

Il Proteus Effect non si limita agli aspetti sociali più superficiali, ma ha dimostrato di avere impatti più profondi sul modo in cui le persone percepiscono sé stesse e gli altri. Il fenomeno ha implicazioni rilevanti in ambito educativo, terapeutico e sociale, ed è stato osservato anche in relazione al genere e all’empatia intergruppi (Fox et al., 2013; Peña et al., 2009). Inoltre, la possibilità di personalizzare l’avatar – di scegliere un corpo che rifletta non solo l’aspetto desiderato, ma anche aspetti identitari profondi – favorisce un maggiore livello di immedesimazione e rende più probabile l’attivazione di questo effetto psicologico (Ratan & Dawson, 2016; Li & Lwin, 2016). Le persone tendono ad interiorizzare tratti associati al proprio avatar, con effetti che possono persistere anche nel mondo reale. Infatti, in alcuni casi, il cambiamento comportamentale non resta confinato al contesto virtuale, ma si estende anche al mondo fisico: studi recenti suggeriscono che gli effetti indotti dal Proteus Effect possono persistere nel tempo, influenzando atteggiamenti e scelte anche dopo la fine dell’esperienza immersiva. Ad esempio, in uno studio di Yee e colleghi (2009), i partecipanti sono stati collocati in un ambiente virtuale immersivo utilizzando avatar più bassi o più alti in base alla condizione. Oltre a rilevare una differenza comportamentale all'interno dell'ambiente virtuale, gli autori hanno riscontrato che i partecipanti a cui sono stati assegnati avatar più alti hanno negoziato in modo più aggressivo nelle successive interazioni faccia a faccia rispetto ai partecipanti a cui sono stati assegnati avatar più bassi. Un altro studio (Peña et al., 2009) ha evidenziato come gli avatar dotati di connotazioni negative possano influenzare la cognizione degli utenti in modo coerente con le associazioni evocate dal loro aspetto. In particolare, i partecipanti che utilizzavano avatar con un mantello nero — colore comunemente associato a caratteristiche stereotipate come “malvagità” e “aggressività” (Frank & Gilovich, 1988) — hanno mostrato intenzioni e atteggiamenti significativamente più aggressivi rispetto a quelli che utilizzavano avatar con un mantello bianco. Inoltre, chi indossava l’avatar nero ha riportato livelli significativamente più bassi di coesione di gruppo rispetto ai partecipanti assegnati all’avatar con mantello bianco. Questi risultati suggeriscono che anche caratteristiche visive apparentemente semplici degli avatar possono influenzare in modo sostanziale i processi cognitivi e sociali degli utenti. Questo fenomeno rende l’avatar un potente mediatore psicologico, capace di fungere da leva per il cambiamento personale e sociale. Alla luce di queste evidenze, è plausibile affermare che la realtà virtuale non sia solo una tecnologia immersiva, ma uno strumento che può generare effetti profondi sulla costruzione del Sé e sulla relazione con gli altri. Proprio per questo, i meccanismi cognitivi e psicologici attivati dall’embodiment e dall’interazione attraverso un avatar aprono scenari di grande interesse per la ricerca e per la costruzione di interventi psico-educativi.

 

Esplorare il Sé e l’identità di genere attraverso l’avatar

 
Le possibilità offerte dalla realtà virtuale hanno implicazioni promettenti per lo studio e l’esplorazione del Sé, e in particolare dell’identità di genere. Incarnare un avatar dotato di caratteristiche fisiche diverse dal proprio corpo biologico – in termini di genere, aspetto o modalità di espressione – non rappresenta semplicemente un esercizio di immaginazione, ma un’esperienza sensoriale e percettiva vissuta in prima persona, che coinvolge in modo diretto la rappresentazione corporea e l’autopercezione. Diversi studi hanno mostrato che il nostro sistema cognitivo è in grado di integrare un corpo virtuale come parte del proprio schema corporeo, aggiornando temporaneamente la rappresentazione del Sé in funzione dell’identità dell’avatar (Petkova & Ehrsson, 2008; Roel Lesur et al., 2018). Questo rende la realtà virtuale uno strumento senza precedenti per esplorare la fluidità e la complessità dell’identità di genere, offrendo uno spazio sicuro e immersivo in cui è possibile sperimentare modalità alternative di essere e di sentirsi nel mondo. Per molte persone, in particolare coloro che stanno esplorando un’identità di genere diversa dal genere assegnato alla nascita o stanno attraversando un processo di affermazione di genere, l’avatar può diventare una risorsa psicologicamente significativa. Sperimentare il proprio Sé attraverso un corpo virtuale che riflette in modo più coerente l’identità di genere sentita e l’immagine corporea desiderata potrebbe attenuare il disagio derivante dal disallineamento tra identità di genere e corpo fisico. In questo senso, la realtà virtuale potrebbe rappresentare un importante complemento sia per la ricerca psicologica, sia per i percorsi clinici dedicati al supporto delle persone transgender e gender-diverse (si veda il glossario). Evidenze sulle potenzialità di interventi psicosociali di questo tipo emergono in particolare da studi che hanno analizzato il ruolo dell’avatar all’interno dei videogiochi (Kosciesza, 2023; Van Wert & Howansky, 2024; Morgan et al., 2020; Whitehouse et al., 2023; Griffiths et al., 2016). Queste ricerche, basate prevalentemente su dati qualitativi, offrono diversi spunti interessanti sui benefici che le persone transgender possono trarre dall’utilizzo di avatar digitali. Un primo punto riguarda la possibilità di personalizzare il proprio sé digitale: le persone intervistate riportano che anche il solo processo di personalizzazione era sufficiente ad attivare euforia di genere, senza necessariamente poi utilizzarlo per giocare.

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