La politica degli hashtag: personalizzazione e demagogia digitale
La politica pop(ulista) tra identificazione, deprivazione e leadership
Il ritorno di politiche populiste in diverse zone del mondo non è una sorpresa; esso beneficia dell’utilizzo dei nuovi media e della loro sempre più facile accessibilità rendendoli altamente pervasivi nella vita quotidiana (Gil de Zúñiga at al., 2020). Il sistema di comunicazione digitale rappresenta la fine della centralità comunicativa del partito a vantaggio di comunicazioni dirette e personali da parte degli esponenti politici. In tale scenario, qualsiasi politico può autorappresentarsi e interagire in maniera diretta, assumendo oneri e onori della comunicazione. Come sostenuto da più fonti (e.g., McDermott & Hatemi, 2018) la popolazione elettorale ha perso fiducia negli storici ideali dei partiti e nelle modalità tradizionali con cui essi hanno sempre operato. Questo a favore di una facilità di identificazione nei leader politici, che attraverso il loro pensiero, a tratti anche mutevole o non in linea con le ideologie a cui i partiti di riferimento sono legati, riescono a orientare le preferenze degli elettori. La teoria dell’identità sociale, una delle concettualizzazioni più note e usate utilizzate nella psicologia sociale ha da sempre messo in evidenza l’importanza per le persone di identificarsi con dei gruppi (Tajfel & Turner, 1986). Quando si parla di populismo e aderenza alle idee populiste si intende un processo che consente alle persone di identificarsi in convinzioni espresse da leader politici di cui non apprezzano o condividono la matrice politica. L’uso delle piattaforme digitali influisce sui processi d’identificazione, poiché facilita il politico nel modellare il proprio pensiero per raggiungere in maniera efficace la platea elettorale, che mette in atto un’elaborazione cognitiva ed emotiva della narrazione conforme all’attore politico vicino (McLaughlin & Macafee, 2019). L'identificazione con il candidato risulta essere correlata a un maggiore supporto per quel politico e a una conseguente opposizione al candidato rivale (McLaughlin & Macafee, 2019). In sintesi, il cittadino che identifica la dimensione politica del suo Sé con quella del candidato, adotta obiettivi e caratteristiche propri del politico stesso, arrivando in alcuni casi a posizioni estreme. Tuttavia, non si tratta solo di una complessa struttura di processi individuali di identificazione. Infatti, anche il ruolo del senso di appartenenza al gruppo è un elemento importante da sottolineare alla luce dello sviluppo di un nuovo populismo. L’identificazione nei candidati porta a riconoscersi in caratteristiche tipiche di un gruppo, anche se non organizzato o riconosciuto, ma con necessità e caratteristiche precise. Tale gruppo è spesso percepito come svantaggiato, deprivato o meritevole di qualcosa di più (Golec de Zavala & Lantos, 2020). Questo “di più” è ricercato all’interno delle promesse del singolo politico, che incarna in sé le caratteristiche prototipiche di un membro del gruppo, facendosi vedere come “uno di noi”. Questa dimensione porta a una sorta di narcisismo collettivo che rende ego-centrata la visione della comunità, delle sue necessità e delle azioni necessarie a un miglioramento. Inoltre, porta a una serie di forti contrapposizioni comunicative che rispondono a questo senso di deprivazione, facilitando scontri e divergenze sociali anche nella vita reale. Anche la psicologia evoluzionistica suggerisce come questo senso di deprivazione influisca sulla vita politica e la promozione del populismo; l'incertezza politica suscita nell’individuo un senso di impotenza e abbandono da parte del proprio gruppo. La possibilità di affidarsi, in condizioni di incertezza, ad un leader autoritario, permette alle persone di identificarsi come “padroni” della situazione. Il controllo che il leader dimostra di esercitare a livello politico, e/o di partito, si riflette sulla percezione delle persone rispetto alla sicurezza di non perdere o guadagnare in termini di risorse, status, protezione fisica e sociale. Le persone, anche le più moderate, sono disposte ad assumere posizioni estreme, che possono sfociare in atti aggressivi o violenti (Hogg & Adelman, 2013). In breve, le minacce percepite innescano difese psicologiche sviluppate proprio per salvaguardare la sopravvivenza. Così le persone possono reagire negativamente quando percepiscono i propri valori criticati, nonostante una spiegazione razionale o la presentazione di informazioni corrette. La necessità del soddisfacimento dei propri bisogni e la ricerca di una coerenza in termini cognitivi e di pensiero hanno un ruolo fondamentale nell’assimilazione di determinate strategie di comunicazione politica (McDermott & Hatemi, 2019). Identificarsi e instaurare un rapporto univoco con un politico, che dunque detiene il potere di cambiare alcuni aspetti del sociale, rappresenta un enorme vantaggio in termini evolutivi. Il populismo è una forma di politica dell'identità, promuovendo la rappresentazione del popolo come legittimato dalla sua stessa natura. La costruzione del senso di appartenenza attiva un sistema evoluzionista di difesa del proprio status, e di conseguenza, del gruppo a cui si crede di appartenere. Chi si rispecchia nei pensieri e nelle idee promosse da politiche populiste, mette in atto dei meccanismi volti a mantenere un equilibrio tra ciò che ha e ciò che pensa che gli spetti di “diritto”, che vengono chiamati “bias”. In particolare, l’attivazione di un “bias” intergruppi porta ad un favoritismo forte verso il proprio gruppo d’appartenenza, che in casi estremi può essere anche aggressivo, con lo scopo ultimo di preservare il proprio status. A titolo d’esempio si pensi alle ultime due campagne di comunicazione politica alla corsa presidenziale, sostenute da Donald Trump.
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