Il Potere delle Parole: Gli Effetti Negativi delle Etichette Denigratorie

Keywords: etichette denigratorie; discriminazione; pregiudizio.

Frocio, negro, puttana, ciccione. Incontriamo spesso queste parole perché le leggiamo in internet, ad esempio sui social network o blogs, e le sentiamo per strada o alla TV. Comunemente ci riferiamo ad esse con il termine “parolacce”. Ma che cos'hanno tali termini in comune? Quali sono i loro effetti? Siamo sicuri che il semplice sentire o leggere tali termini, anche involontariamente, non ci influenzi?

In Psicologia Sociale queste parole rientrano nella definizione di etichette denigratorie, ossia singoli termini che esprimono un esplicito atteggiamento negativo nei confronti del gruppo sociale o dell’individuo a cui si riferiscono (Simon & Greenberg, 1996; si veda anche glossario). Tali parole posso richiamare aspetti che caratterizzano il destinatario, come ad esempio caratteristiche fisiche (ad es., negro, muso giallo), culturali (ad es., crucchi o kraut in inglese) o di derisione (ad es., terrone), che rimandano alla promiscuità sessuale (ad es., troia, baldracca) o a parti del corpo (ad es., figa, culattone). Queste etichette sono inoltre specifiche, in quanto hanno un destinatario ben definito (ad es., gli omosessuali, le donne, gli asiatici) e, di conseguenza, assumono una connotazione omofoba, sessista, etnica o stigmatizzante. Data questa loro particolarità, le etichette denigratorie si differenziano dagli insulti generici (ad es., stronzo), che possono invece essere utilizzati per offendere qualsiasi individuo, indipendentemente dal gruppo sociale a cui appartiene.

Conseguenze delle etichette denigratorie

Data la frequenza di tale linguaggio nella vita quotidiana, negli ultimi decenni le etichette denigratorie hanno suscitato particolare interesse da parte della ricerca in Psicologia Sociale. Le domande a cui si è cercato di dare risposta sono: qual è il potere di queste parole? Quali sono le loro conseguenze per coloro che ne sono destinatari? Chi non è vittima, ma solo spettatore (si veda glossario) del loro utilizzo, può esserne influenzato? In altri termini, le etichette denigratorie possono avere degli effetti sui membri del gruppo sociale offeso (destinatari) e su chi invece non appartiene a questo gruppo (spettatori)? E se si, quali?

Le etichette denigratorie sono per loro natura espressioni di pregiudizio (Simon & Greenberg, 1996). Per tale ragione, esse hanno solitamente un impatto negativo sugli individui che ne sono bersaglio. I destinatari dell'offesa non sono esclusivamente coloro che ne sono vittima diretta, ma anche tutti i membri del gruppo sociale offeso. Il linguaggio denigratorio può infatti colpire il singolo individuo ma, in modo più esteso, tutto il gruppo a cui appartiene. Ad esempio, alcune ricerche hanno dimostrato che la semplice esposizione ad epiteti razzisti rivolti agli Afro-Americani (Swim, Hyers, Cohen, Fitzgerald & Bylsma, 2003), epiteti omofobi (Swim, Johnston, & Pearson, 2009) o di natura sessista (Swim, Hyers, Cohen, & Ferguson, 2001) ha un effetto negativo sul benessere psicologico dei destinatari. Inoltre, le persone che appartengono al gruppo sociale offeso, anche se indirettamente colpite da tale linguaggio, riportano in seguito emozioni negative di ansia e rabbia, maggiori livelli di depressione e una più bassa autostima.

Gli effetti dell’utilizzo di questa terminologia si limitano a colpire chi ne è destinatario? Qual è l’impatto delle etichette denigratorie su chi ne è mero spettatore?

Il modo in cui etichettiamo gli individui cambia la percezione che abbiamo di loro: le etichette di per sé pongono l’individuo all’interno di un gruppo e lo distinguono dagli altri, enfatizzando così somiglianze e differenze (Foroni & Rothbart, 2011). Ma c’è di più, perché le etichette denigratorie non definiscono solo il gruppo sociale a cui il destinatario appartiene e ne sottolineano le diversità (ad es., il colore della pelle). Esse veicolano anche un atteggiamento fortemente negativo. Potrebbero quindi avere un impatto anche sugli spettatori che sono esposti all’uso di questo linguaggio, magari anche in modo involontario: ad esempio, quante volte capita di leggere tali termini sui muri delle città senza però porvi davvero attenzione?

I primi studi condotti in questo ambito si sono focalizzati sulle etichette di tipo etnico. Da un lavoro su dati d’archivio condotto negli Stati Uniti è emerso che gli epiteti razzisti aumentano la distanza sociale dal gruppo e dagli individui a cui si riferiscono, soprattutto se molto negativi e poco complessi in termini di quantità di caratteristiche prototipiche chiamate in causa (Mullen & Rice, 2003). Effetti simili sono emersi anche da studi di laboratorio in cui si sono esaminate le reazioni degli spettatori a etichette denigratorie riferite a gruppi fittizi (Leader, Mullen, & Rice, 2009).

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