Il Potere delle Parole: Gli Effetti Negativi delle Etichette Denigratorie
Alcuni studi hanno dimostrato che il contesto (si veda glossario) può influenzare sia l’accettazione sia gli effetti che l’utilizzo delle etichette denigratorie può comportare. Ad esempio, Hall e La France (2013) hanno trovato che gli uomini eterosessuali sono più propensi a pronunciare etichette omofobe (ad es., frocio) in presenza di altri uomini piuttosto che in una situazione in cui l’audience è formata da donne o da un gruppo misto (donne e uomini). Tali risultati suggeriscono che quando siamo in presenza di persone che appartengono al nostro stesso gruppo sociale, ci aspettiamo una maggiore tolleranza per l’'uso di tale linguaggio. Allo stesso tempo, l’appartenenza di gruppo di chi fa uso delle etichette può avere un ruolo importante in termini di diffusione degli atteggiamenti negativi che tale linguaggio denigratorio veicola. Il processo di conformismo porta infatti gli individui a conformarsi alle credenze e atteggiamenti dei membri del proprio gruppo (Castelli, Vanzetto, Sherman, & Arcuri, 2001). Per questa ragione, se gli spettatori appartengono allo stesso gruppo sociale della persona che pronuncia l’etichetta, essi potrebbero essere maggiormente disposti a conformarsi all’atteggiamento di pregiudizio veicolato dall’etichetta denigratoria. Conoscere chi è l’utilizzatore potrebbe quindi influenzare l’effetto che questa tipologia di linguaggio può produrre (si veda Gadon & Johnson, 2009; Greenberg & Pyszczynski, 1985; Kirkland et al., 1997)
Le reazioni osservate negli studi di Greenberg e collaboratori sarebbero state le stesse se l'etichetta denigratoria fosse stata usata da un individuo appartenente al gruppo sociale offeso? Per esempio, se l'etichetta negro fosse stata utilizzata da un nero, quali ne sarebbero state le conseguenze? Alcuni studi suggeriscono che quando utilizzate da un membro del gruppo offeso, le etichette denigratorie assumono una connotazione meno negativa e non sono più percepite come offensive. È quello che avviene, ad esempio, per le etichette etniche usate da e nei confronti degli Afro-Americani (Kennedy, 2002), e quelle omofobe usate dagli omosessuali (Gamson, 1995, si veda anche Carnaghi & Maass, 2008). Si parla in questo caso di riappropriazione del linguaggio denigratorio come forma di difesa dalla stigmatizzazione veicolata dall’offesa (Galinsky et al., 2013). Sono tuttavia pochi gli studi che hanno studiato gli effetti di questo particolare caso sugli spettatori. Ad oggi, solo una ricerca, condotta da Galinsky e colleghi (2013), ha mostrato che tale fenomeno di riappropriazione può influenzare positivamente il giudizio che gli spettatori esprimono riguardo alle persone che usano le etichette denigratorie comunemente utilizzate per indicare il gruppo sociale al quale appartengono. In particolare, i risultati di questo studio hanno dimostrato che tali effetti positivi interessano specificatamente le dimensioni del potere e della capacità di controllo.
Se da un lato chi utilizza l'etichetta denigratoria può fare la differenza (membro dell'ingroup o dell'outgroup), è altresì vero che anche l'atteggiamento dello spettatore può giocare un ruolo fondamentale. Simon e Greenberg (1996) hanno dimostrato infatti che il giudizio che gli spettatori esprimono a proposito di un individuo di colore bersaglio di un’etichetta denigratoria è fortemente influenzato dall’atteggiamento negativo, favorevole o ambivalente nei confronti degli Afro-Americani posseduto da tali persone: mentre coloro che possiedono un atteggiamento negativo nei confronti degli Afro-Americani reagiscono all’etichetta esprimendo una valutazione ancor più negativa, chi possiede un atteggiamento favorevole non viene influenzato dall’etichetta denigratoria e non cambia la propria opinione; un atteggiamento ambivalente, invece, sembra dar luogo ad una reazione di “compensazione”, determinando una valutazione più positiva della persona offesa. Questi risultati suggeriscono allora che se da un lato le etichette denigratorie possono rafforzare il pregiudizio e la discriminazione, dall’altro gli atteggiamenti delle persone che ne sono spettatrici possono moderare tali effetti negativi.
Vale la pena infine di ricordare che anche il tipo di relazione che c’è tra colui che offende e il destinatario dell’offesa (si veda glossario) può avere un impatto sul modo in cui viene percepito l’evento. Fasoli e colleghi (2013) hanno affrontato questa questione chiedendo a donne e uomini eterosessuali di giudicare quanto fosse accettabile l'utilizzo di etichette sessiste che, a seconda della condizione sperimentale, potevano essere pronunciate da un uomo o una donna, da una persona di alto o pari status sociale (ad es., il datore di lavoro vs. un collega o un amico). Dai risultati è emerso che lo status della persona che offende così come la sua appartenenza all’ingroup o all’outgroup possono avere un impatto diretto sul modo in cui viene percepita l’etichetta denigratoria, influenzandone ad esempio l’accettazione sociale. Nello specifico, i partecipanti giudicavano l’uso di un’etichetta sessista come meno accettabile se ad utilizzarla era un uomo, piuttosto che una donna, e soprattutto in un contesto lavorativo dove l’uomo era in una posizione di potere (si noti che l’epiteto utilizzato da un datore di lavoro maschio è spesso percepito come molestia verbale). Questo studio si è tuttavia soffermato esclusivamente sul ruolo del contesto nei giudizi di accettabilità delle etichette. Potrebbe essere dunque particolarmente interessante approfondire in studi futuri gli effetti delle etichette denigratorie sul contesto (luogo e utilizzatore).
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