Chi è Senza Peccato… Pervasività delle Condotte Immorali nella Vita Quotidiana e Strategie di Razionalizzazione
Keywords: comportamenti immorali; giustificazione; gruppo di appartenenza.
Quando pensiamo ai comportamenti immorali tendiamo di solito a rappresentarci malvagi individui che compiono “per predisposizione personale” azioni scorrette e di estrema crudeltà nei confronti degli altri e della società più in generale. Le immagini di guerre e genocidi sanguinosi, o ancora di grandi truffatori e politici corrotti che si affastellano davanti ai nostri occhi, pur nella loro inquietante realtà, ci fanno sentire al riparo dalla possibilità di sentire o definire noi stessi come persone immorali. Tendiamo a tracciare una netta e rassicurante linea di confine fra le persone "per bene" che compiono azioni positive da un lato – un gruppo in cui siamo inclini a includere noi stessi – e dall’altro le persone "per male" – distanti da noi, che compiono azioni immorali e riprovevoli. In realtà, definendo il comportamento non etico come l’insieme delle azioni, dalle più piccole alle più grandi, che violano le norme morali ampiamente condivise dalla società (Cojuharenco, Shteynberg, Gelfand, & Schminke, 2011), si comprende come esso sia molto più diffuso di quanto siamo generalmente disposti ad ammettere. Sono diverse le indagini che hanno evidenziato l’ordinarietà e la diffusione dei comportamenti non etici.
Ad esempio, nella vita di tutti i giorni le persone tendono a mentire spesso (mediamente una o due volte al giorno, DePaulo & Kashy, 1998), mentre sul posto di lavoro altrettanto spesso sfruttano il tempo per altre attività personali, o compiono azioni scorrette come portare a casa oggetti di proprietà della compagnia in cui lavorano, gonfiare le fatture delle missioni, arrivare in ritardo e andare via dal posto di lavoro in anticipo senza dichiararlo (Bennet & Robinson, 2000). Impressionanti, inoltre, i risultati dell’ultimo rapporto del 2013 dell’organizzazione internazionale Transparency International da cui emerge come nel mondo circa una persona su quattro dichiara di aver pagato una tangente negli ultimi 12 mesi interagendo con le istituzioni e i servizi pubblici.
La disonestà senza disonesti: quali meccanismi psicologici in gioco per giustificare le condotte non etiche?
Considerato il livello di pervasività dei comportamenti non etici, colpisce come la maggior parte delle persone tenda invece a percepirsi come morale e dotata di sani principi e senso etico, anche nei casi più clamorosi di disonestà. Ci troviamo dunque di fronte al paradosso della disonestà diffusa senza persone che ammettano di definirsi tali, una disonestà quindi senza disonesti.
Basti pensare al caso di Bernard Madoff, il broker dell’alta finanza statunitense condannato qualche anno fa a ben 150 anni di carcere per aver compiuto una delle più grandi frodi finanziarie di tutti i tempi, trafugando illegalmente più di cinquanta miliardi di dollari e portando alla rovina un numero impressionante di persone. Intervistato in carcere, Madoff ha dichiarato di sentirsi nonostante tutto una “brava persona”. Come spiegare questa percezione di sé così distante dalla realtà dei fatti? Come il caso di Madoff segnala, le persone tendono a presentare dei veri e propri limiti cognitivi (che conducono a sovrastimare la propria moralità nonostante l’evidenza dica il contrario; Moore & Gino, 2013). Siamo propensi infatti non solo a valutare più positivamente in termini morali il comportamento da noi assunto in passato ma anche a sovrastimare le probabilità che assumeremo un comportamento etico in futuro (Tenbrunsel, Diekmann, Wade-Benzoni, & Bazerman, 2010), tendiamo a dimenticare strategicamente o a non badare troppo alle nostre azioni scorrette (Gino & Bazerman, 2009; Shu & Gino, 2012) e a “giocarci dei bonus morali” relativi a buone azioni compiute in passato per giustificare azioni scorrette nel presente (Monin & Miller, 2001). Inoltre, in termini comparativi, siamo propensi a valutare lo stesso comportamento scorretto come meno disonesto se agito da noi stessi rispetto agli altri, e questo doppio standard si estende anche alla valutazione meno negativa che siamo propensi a compiere di comportamenti scorretti agiti da membri del nostro gruppo rispetto a membri di un gruppo esterno (Valdesolo & DeSteno, 2007). Un altro limite cognitivo non trascurabile è legato al fatto che le persone tollerano maggiormente un comportamento non etico quando questo si sviluppa in modo graduale nel tempo, piuttosto che in modo brusco: infatti, una degenerazione brusca del comportamento fornisce subito un chiaro segnale che i confini etici sono stati oltrepassati, mentre un cambiamento graduale indebolisce il segnale di “pericolo morale,” non permettendo alle persone una piena consapevolezza e riconoscimento delle sue implicazioni etiche negative (Gino & Bazerman, 2009).
Ma come è possibile compiere azioni immorali e preservare allo stesso tempo un’immagine positiva di sé? Nelle persone la moralità riveste un ruolo cruciale nella definizione di sé stessi: si parla infatti di identità morale - ovvero l’importanza assegnata nella definizione di sè all’essere morali, onesti e dotati di caratteristiche eticamente rilevanti (Aquino & Reed, 2002). Benché l’identità morale influenzi positivamente il comportamento degli individui proprio in virtù degli standard morali interiorizzati, come abbiamo già avuto modo di argomentare, le persone tendono spesso a compiere azioni immorali.
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