Chi è Senza Peccato… Pervasività delle Condotte Immorali nella Vita Quotidiana e Strategie di Razionalizzazione

Questo tipo di comportamenti tende a generare uno stato di disagio derivante dal conflitto fra due motivazioni opposte: da un lato il desiderio di avvantaggiarsi dei benefici concreti e spesso monetizzabili associati al mettere in atto il comportamento disonesto e dall’altro il desiderio di preservare un’immagine positiva ai nostri occhi e agli occhi degli altri. A questo stato di tensione psicologica Barkan, Ayal, Gino e Ariely (2010) hanno dato il nome di dissonanza etica. Così come per la dissonanza cognitiva di cui parla Festinger (1957; si veda glossario), anche nella condizione di dissonanza etica le persone sono fortemente motivate a superare lo stato psicologico negativo derivante dalla presenza simultanea di motivazioni in contraddizione fra loro mettendo in campo una molteplicità di strategie. 

Un modo attraverso cui superare la dissonanza è, ad esempio, adottare una categorizzazione flessibile del proprio comportamento disonesto: si sposta un po’ più in là il confine che distingue ciò che è onesto da ciò che è disonesto con l’esito di una ridefinizione morale del proprio comportamento di fatto immorale (Mazar, Amir, & Ariely, 2008). Anche il linguaggio può essere molto efficace per superare la dissonanza etica, ridefinendo con etichette eufemistiche la negatività di un comportamento non etico e, per questo, legittimandolo (Bandura, 1990, 1999; Tenbrunsel & Messick, 2004); sono molti gli esempi a questo proposito, dagli insulti sessisti alle donne ridefiniti come degli scherzi giocosi, al licenziamento selvaggio ridefinito dalle aziende come riorganizzazione della forza lavoro, fino alle tragiche morti di civili nelle guerre che vengono rinominate come danni collaterali. Non sempre è possibile adottare le strategie di ricategorizzazione e ridefinizione del comportamento non etico prima descritte, soprattutto quando lo stesso è innegabilmente tale: in questo caso, le persone mettono in campo altri metodi per razionalizzare il comportamento disonesto e ridurre la dissonanza etica. Una di queste è ad esempio quello di impegnarsi in attività filantropiche o comportamenti altruistici per placare il senso di colpa per l’azione immorale commessa. Levav e McGraw (2009) hanno mostrato a tal proposito in uno studio sperimentale come i partecipanti che avevano ottenuto del denaro disonestamente anziché scegliere di spenderlo per fini edonistici (come una festa in spiaggia), sceglievano di versarlo per spese virtuose (il pagamento delle tasse per l’istruzione di qualcuno). Le persone, dunque, si ripuliscono la coscienza attraverso l’assunzione di condotte positive: Questa immagine della pulizia della coscienza non è solo una metafora efficace ma anche in un certo senso una strategia tramite cui le persone possono affrancarsi dal proprio senso di colpa. 

 

Gli psicologi sociali parlano in questo caso di purificazione morale intesa come il tentativo, tramite la pulizia fisica, di liberarsi dei sentimenti negativi per aver assunto una condotta non etica (Tetlock, Kristel, Elson, Green, & Lerner, 2000). Emblematica la figura di Ponzio Pilato che secondo quanto narrano i vangeli, riferendosi a Gesù e alla sua condanna si lavò le mani davanti al popolo e dichiarò di essere innocente del sangue di quella persona giusta. Il potere simbolico dell’acqua come mezzo di purificazione dei peccati e delle colpe ricorre in molte religioni, da quella cristiana a quella induista o quella islamica. In una ricerca di Zhong, Liljenquist e Cain (2009) questo potere è stato mostrato sperimentalmente. Nel loro studio, i partecipanti dovevano ricordare un episodio da loro vissuto che riguardava, in una condizione, un atto moralmente disinteressato e, in un'altra, un comportamento non etico, avendo poi la possibilità di scegliere in regalo fra un antisettico e una matita. Dai risultati è emerso che il ricordare un proprio comportamento non etico induceva i partecipanti a scegliere maggiormente l’antisettico e, tra questi, chi lo usava lavandosi le mani riportava, in un successivo test, minori livelli di colpa.

 

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