Attrattività del volto e genere. Non sempre essere belle aiuta nella scalata professionale e politica.
Essere parte di una società moderna comporta un’ampia possibilità di contatti interpersonali ed una frequente interazione con persone totalmente sconosciute. È perciò interesse della psicologia sociale comprendere quali siano i meccanismi che guidano la percezione dell’altro anche in situazioni di scarse informazioni disponibili. Una delle principali fonti di informazione cui facciamo ricorso per formulare un giudizio nei confronti di una persona sconosciuta è il volto (Garza, Heredia, & Cieslicka, 2016; Peters, Rhodes, & Simmons, 2007). Il volto di chi ci sta di fronte influenza il giudizio non solo per quanto riguarda la sua apparenza in senso stretto, ma anche per ciò che riguarda le caratteristiche di personalità: chi possiede un volto attraente spesso viene considerato anche buono e bravo, più competente e più socievole (Dion, Berscheid, & Walster, 1972). Tale effetto è conosciuto come: “What is beautiful is good”. Lorenzo, Biesanz e Human (2010) confermano questo effetto dimostrando, inoltre, come le persone con un volto più attraente siano allo stesso tempo valutate più accuratamente rispetto alle non attraenti. Infatti, i partecipanti sono in grado di cogliere le caratteristiche di personalità dei soggetti attraenti in maniera più precisa rispetto a quanto non avvenga nel caso di persone poco attraenti. È importante considerare come dallo studio sia emerso che il giudizio di bellezza dipenda dalla percezione del partecipante. Il soggetto valutato non deve essere “oggettivamente” attraente secondo i canoni estetici prevalenti, ma è sufficiente che sia soggettivamente considerato tale perché l’associazione bellezza-bontà si inneschi. Wheeler e Kim (1997) hanno condotto esperimenti per comprendere se l’effetto si registrasse anche nei paesi orientali a forte impronta collettivista. Nel loro articolo riportano che l’effetto “What is beautiful is good” è riscontrabile anche fra gli studenti coreani, ma cambia l’idea di cosa significhi essere una persona con qualità positive. Se negli studi effettuati in Nord America una persona dal volto attraente è considerata maggiormente competente, in Corea il giudizio di attrattività influisce positivamente sui tratti collegati alla socialità, come ad esempio l’integrità morale e l’interesse per gli altri. Dunque, l’associazione sembra essere valida nei diversi contesti culturali, ma cambiano i tratti positivi sui quali il ruolo dell’attrattività ha effetto. Una spiegazione dell’effetto “What is beautiful is good” è stata offerta da Lemay, Clark e Greenberg (2010). Gli autori hanno dimostrato che le persone preferiscono creare legami con individui attraenti piuttosto che con quelli non attraenti. Come conseguenza di questo, si proiettano sulle persone attraenti le qualità positive che si ricercano nel partner ideale.
Inoltre, secondo Avram e colleghi (2013) sembrerebbe che per i giudizi estetici e morali si attivino le medesime aree del cervello. Osservando l’attivazione a livello celebrale in risposta ad un verso di un poema o ad una frase riportante un concetto di moralità, è stato notato che l’area principalmente attiva è la stessa per entrambe le condizioni (i.e. corteccia prefrontale orbito-mediale). Allo stesso tempo, però, i giudizi di moralità coinvolgono anche altre aree cerebrali, indicando una maggiore complessità del giudizio morale (Wang et al., 2015). Essendo bellezza e moralità strettamente collegati, non sorprende che si osservi anche la relazione inversa. Infatti, Gross e Crofton (1977) hanno dimostrato che gli individui descritti, ad esempio, come maggiormente amichevoli e pronti ad aiutare gli altri ricevono anche giudizi più elevati in relazione all’attrattività fisica (si veda anche Little, Burt, & Perrett, 2006). L’effetto “What is beautiful is good” è stata dimostrata anche nello scenario politico. Berggren, Jordahl e Poutvaara(2009) hanno constatato come l’attrattività del volto sia un fattore cruciale per la vittoria alle elezioni. Dallo studio condotto in Finlandia è emerso che all’aumentare dell’attrattività percepita del volto del candidato, è associato ad un aumento nel numero di voti che il politico ottiene. La bellezza sembrerebbe quindi avere un forte impatto sull’esito delle elezioni e, in molti casi, addirittura maggiore di quello riconducile alla competenza ed affidabilità percepite. Se l’effetto sembra essere molto forte, vi sono però indicazioni circa i suoi limiti. Infatti, non sempre per le donne essere attraenti reca vantaggi personali. Nei successivi paragrafi riporteremo studi e teorie che suggeriscono come per le donne l’attrattività del volto può essere talvolta svantaggiosa nel contesto lavorativo e politico. Si è scelto di focalizzare l’argomentazione su questi due ambiti proprio perché essi sono due contesti nei quali la scalata alle cariche di più alto rilievo sembra essere più proibitiva per le donne. In Italia, ad esempio, le donne dirigenti sono solo il 17,1% del totale (Rapporto donne Manageritalia, 2019), mentre per ciò che riguarda le donne ministro nel governo Conte bis (2019 – in corso) esse sono 7 su 21, ovvero un terzo del totale. A tal proposito dunque, ci è sembrato opportuno cercare di delineare che ruolo possa giocare l’attrattività del volto e se essa possa essere vantaggiosa o meno per le donne che ambiscono a cariche di rilievo.
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