Attrattività del volto e genere. Non sempre essere belle aiuta nella scalata professionale e politica.

Lack of fit theory

Per comprendere i fattori che contrastano il forte effetto positivo dell’attrattività del volto è bene introdurre il modello del contenuto degli stereotipi di Cuddy, Fiske e Glick (2008). Secondo gli autori (Cuddy et al., 2008) esistono due dimensioni fondamentali che guidano la percezione e la formazione delle impressioni nei confronti di persone e di gruppi sociali: il calore e la competenza percepita. La dimensione del calore è rappresentata da tratti di personalità come ad esempio la moralità, la fedeltà e la sincerità, dunque caratteristiche che descrivono come l’individuo si comporta con gli altri. La dimensione di competenza, invece, comprende i tratti di personalità che aiutano l’individuo a capire come gli altri riescono a raggiungere le loro intenzioni, perciò la dimensione di competenza racchiude fra le tante anche le caratteristiche di efficacia, creatività ed intelligenza. Queste due dimensioni appaiono fondamentali al fine di comprendere i processi che portano alla formazione di pregiudizi nei confronti dei diversi gruppi sociali ma anche delle singole persone (Glick & Fiske, 2001). Non è raro, ad esempio, incontrare pregiudizi che definiscono alcuni gruppi sociali come altamente socievoli ed affabili, ma poco competenti. È il caso delle donne. Le donne sono stereotipicamente considerate disponibili e calorose, ma poco competenti. Questo, come sostengono gli autori (Glick & Fiske, 2001), porterebbe gli uomini ad un atteggiamento apparentemente protettivo, ma che nasconde in realtà un atteggiamento di superiorità rispetto alle donne. Un fenomeno che spiega bene questo genere di atteggiamento è quello del “mansplaining” (Kidd, 2017). La parola deriva dall’inglese “man” ed “explaining” ed indica l’atteggiamento di superiorità messo in atto talvolta da alcuni uomini nel tentativo di spiegare ad una donna un’ovvietà con convinzione di essere più informati di lei.

Tali considerazioni si ricollegano alla teoria di Heilman (1983): la lack of fit theory. Secondo questa teoria, gli stereotipi associati alle donne ed agli uomini sono accentuati tanto più la persona in questione è giudicata possedere un volto attraente. Questo fenomeno avviene perché chi è attraente viene giudicato anche come maggiormente prototipico del proprio genere. Come conseguenza, il fatto di essere considerato come maggiormente rappresentativo del proprio genere fa sì che all’individuo vengano attribuite anche tutte le altre caratteristiche che tipicamente sono associate al genere sessuale di appartenenza. Pertanto, una donna con un volto attraente sarà molto probabilmente giudicata più socievole ed attenta nei confronti degli altri rispetto agli uomini o alle altre donne con volti meno attraenti; al contrario un uomo con un volto attraente sarà considerato più intelligente e competente rispetto alla controparte femminile o ad un altro uomo meno attraente.

Molteplici sono le implicazioni pratiche di tale effetto. Un contesto nel quale sono stati effettuati numerosi studi è quello lavorativo. Già a partire dallo studio di Heilman del 1983 si evidenza come le donne di bell’aspetto siano considerate poco competenti e, per questo motivo, poco adatte (lack of fit) sin dal momento della selezione del personale. A tal proposito, Cash, Gillen e Burns nel 1977 attraverso uno studio sperimentale hanno raccolto dati sul processo di selezione del personale. Settantadue professionisti nella ricerca del personale sono stati ingaggiati come partecipanti allo studio con la richiesta di valutare l’adeguatezza dei candidati per tre diverse tipologie di lavori: uno tipicamente maschile, uno tipicamente femminile ed uno neutro. I risultati hanno mostrato che generalmente essere attraenti aiuta in qualsiasi circostanza, ma non per chi si candida per lavori non stereotipici rispetto al proprio genere (e.g., per le donne essere autiste di un carroattrezzi, mentre per gli uomini essere addetti alla vendita di cosmetici; Johnson et al., 2010).

Per quanto riguarda l’ambito politico, secondo Lammers e colleghi (Lammers, Gordijn, & Otten, 2009), la possibilità che un uomo o una donna candidati alle elezioni politiche siano votati dagli elettori dipende dalla loro prototipicità di genere e dai problemi sociali ed economici contingenti al momento storico. Dallo studio è emerso che in generale gli elettori votano gli uomini quando i problemi da risolvere richiedono abilità tecniche e competenza. Al contrario, si preferisce una donna quando le problematiche riguardano le relazioni e la comunità. Nell’articolo è presente un secondo studio nel quale i candidati da votare erano uomini o donne considerati poco prototipici del loro genere (Lammers et al., 2009). In questo caso, gli elettori favorirono le donne meno prototipiche del loro genere quando era richiesta competenza e gli uomini con tratti somatici meno prototipici del loro genere quando si ricercavano abilità sociali. Tali risultati possono parzialmente aiutare a capire come mai le donne siano così poco presenti nel panorama politico. Essendo la competenza la dote primaria richiesta ai politici mentre l’intelligenza emotiva e l’abilità sociale virtù considerate secondarie, si comprende dunque, almeno parzialmente, perché le donne siano sottorappresentate nei ruoli di governo.

 

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