Realtà Virtuale e psichedelia: le potenzialità delle esperienze tecnodeliche alla conquista della mente
Tuttavia, l’assunzione di psichedelici può comportare una serie di effetti negativi, che vanno dai cosiddetti bad trips, ossia esperienze psichedeliche terrificanti (Carbonaro et al., 2016; Griffith et al., 2011), alla persistenza delle allucinazioni anche molto tempo dopo l’esperienza (Halpern & Pope, 1999, 2003; Martinotti et al., 2018), fino al pericolo di indurre stati psicotici in persone predisposte (Carbonaro et al., 2016). Questo, unitamente allo status legale di molte sostanze psichedeliche e allo stigma sociale che le circonda, rende problematica la ricerca scientifica e la diffusione di eventuali terapie basate su di esse. Una possibile soluzione alle problematiche sopracitate viene oggi offerta dalle moderne tecnologie digitali, grazie alle cosiddette esperienze tecnodeliche. Con questo termine ci si riferisce ad alterazioni della coscienza indotte attraverso tecnologie di Virtual Reality (VR), e in generale mediante l’utilizzo di strumenti audiovisivi (Arnott, 2020). Tali esperienze, nonostante siano in una certa misura paragonabili agli stati causati dagli psichedelici (Aday et al., 2020; Magni et al., 2023), non prevedono l’assunzione di sostanze, tanto meno illegali o socialmente stigmatizzate, e non dovrebbero avere effetti collaterali a parte l’eventuale malessere (detto “cybersickenss”) tipico di molte esperienze in VR (Aday et al., 2020; Treleaven et al., 2015). Inoltre, a differenza delle sessioni con sostanze psichedeliche, che normalmente durano svariate ore e per le quali sono necessarie settimane di preparazione (Sessa, 2017), le esperienze tecnodeliche hanno una durata arbitraria e richiedono solo una spiegazione tecnica come per qualunque esperienza in VR (Glowacki et al., 2020, 2022).
Esperienze tecnodeliche e prime evidenze sperimentali
Recentemente, diversi gruppi di ricerca in ambito neuroscientifico e psicologico hanno iniziato a esplorare le potenzialità della VR nel produrre alterazione della coscienza. Ad esempio, Suzuki e colleghi (2017) hanno provato a riprodurre le allucinazioni indotte dagli psichedelici attraverso l’uso di visori per la VR. I ricercatori si sono serviti di un’intelligenza artificiale chiamata DeepDream, sviluppata da Google a partire da reti neurali per la classificazione di immagini. Laddove queste ultime analizzano una data immagine comparandola con modelli astratti a vari livelli di elaborazione, DeepDream modifica invece l’immagine di partenza affinché rifletta i modelli che sono codificati a un determinato livello. In altre parole, se nel caso di un normale classificatore di immagini viene selezionata la categoria che si adatta meglio all’immagine, nel caso di DeepDream è l’immagine ad essere adattata ai modelli preesistenti. Il risultato finale avrebbe le caratteristiche di un’allucinazione visiva (figura 1 - Esempio di immagine generata con DeepDream a partire da una foto di due meduse; fonte:
https://it.wikipedia.org/wiki/Deep_Dream). È stato proposto che questo processo mimerebbe proprio il meccanismo cerebrale alla base delle allucinazioni secondo la teoria della codifica predittiva (Suzuki et al., 2017). Infatti, secondo alcuni autori, le allucinazioni risulterebbero da un rafforzamento dei modelli predittivi, i quali verrebbero così applicati anche in assenza di stimoli (Corlett et al., 2009; Sterzer et al., 2018). Tuttavia, va sottolineato come altri autori spieghino le allucinazioni attraverso un meccanismo inverso, cioè come un’attenuazione dei modelli predittivi che normalmente filtrano il rumore di fondo dalle cortecce sensoriali (Carhart-Harris & Friston, 2019; Sterzer et al., 2018). Suzuki e colleghi (2017) si sono dunque serviti di DeepDream per modificare uno scenario in VR e ricreare così un’esperienza allucinatoria. Ai partecipanti e alle partecipanti che avevano fatto tale esperienza è stato poi somministrato un questionario per valutare se questa avesse prodotto uno stato di alterazione della coscienza. I punteggi ottenuti erano paragonabili a quelli tipici delle esperienze con sostanze psichedeliche. Tuttavia, quando i ricercatori hanno verificato l’effetto dell’esperienza sulla percezione del tempo, notoriamente alterata durante le esperienze psichedeliche, non hanno riscontrato risultati significativi (Suzuki et al., 2017). Del resto, riprodurre le alterazioni della percezione causate dalle sostanze psichedeliche non equivale necessariamente a creare lo stato alterato di coscienza che le induce (Aday et al., 2020). Glowacki e il suo team (2020, 2022) si sono invece concentrati sull’esperienza di dissoluzione dell’io indotta da elevate dosi di sostanze psichedeliche (Carhart-Harris et al., 2012; Lebedev et al., 2015). Tale esperienza consiste nella sensazione di essere tutt’uno con l’universo e sembra essere anch’essa collegata al disgregamento funzionale del Default Mode Network. I ricercatori e le ricercatrici si sono posti l’obiettivo di ottenere il medesimo effetto attraverso la VR. L’esperienza da loro sviluppata è stata battezzata “Is-ness,”, ossia la parola con cui Aldous Huxley, scrittore e filosofo britannico di metà Novecento, si riferisce alle qualità delle cose di "essere e basta,” che lui racconta di aver esperito sotto l’effetto della mescalina (Huxley, 1968). Durante l’esperienza “Is-ness”, i/le partecipanti si incarnavano in corpi costituiti di una materia evanescente e luminosa. Inoltre, trattandosi di un’esperienza collettiva, gli individui potevano osservare il proprio corpo mescolarsi con quello degli altri partecipanti. I risultati indicano che l’esperienza da loro vissuta è qualitativamente simile alle esperienze psichedeliche classiche, con effetti paragonabili all'assunzione di psilocibina e LSD.