Le persone adottate in Italia: straniere o italiane?
Innanzitutto, il sé si definisce nella trama delle relazioni familiari che possono facilitare od ostacolarne il percorso di definizione.
I genitori possono essere di supporto nel processo di costruzione dell’identità biculturale attraverso la socializzazione culturale, trasmettendo, come tutti i genitori, la propria cultura, ma anche mediandola con la cultura di origine del proprio figlio o della propria figlia. È un compito non affatto scontato, che implica per i genitori un processo di acculturazione a una cultura differente dalla propria e la capacità di individuare le strategie più adeguate a trasmettere al/la figlio/a valori, credenze, usanze e comportamenti culturali del background di origine (Mohanty, 2013; Yoon, 2004). Ne deriva una scarsa diffusione di tali pratiche soprattutto se la persona è adottata nei primi anni di vita, mentre la consapevolezza dell’importanza di tale processo cresce se i bambini e le bambine sono adottati/e in età scolare, quando hanno ricordi della loro infanzia e della cultura acquisita. I risultati delle nostre ricerche confermano quanto emerso da alcuni studi condotti in ambito statunitense: laddove i genitori promuovono nel/la figlio/a la consapevolezza di appartenere a una differente etnia e soprattutto attribuiscono a essa valore, la persona che viene adottata sarà facilitata nella sfida di integrare la propria identità etnica promuovendo così un positivo adattamento (Ferrari et al., 2015a; Ferrari et al., 2017a; Lee, 2003; Manzi et al., 2014; Mohanty, 2013). Il benessere della persona adottata è risultato, inoltre, essere promosso da una particolare strategia di socializzazione culturale detta “contatto esteso intragruppo”, cioè la frequenza e la qualità del contatto dei genitori adottivi con componenti del gruppo etnico di origine del/la figlio/a adottivo/a (valutato in termini di vicinanza e amicalità; Ferrari et al., 2017b). I nostri dati evidenziano, inoltre, che questo processo non è unidirezionale: se i genitori possono creare opportunità per avvicinare il/la figlio/a alla cultura di origine, è la persona adottata che nel tempo diventa protagonista di questo processo e si trova a dover decidere che valore dare a ciò che ha ricevuto. In altri termini, è chiamata a mettere in atto in prima persona un processo di “esplorazione etnica” (Ferrari et al., 2015a). Questo processo congiunto di riacculturazione e riappropriazione delle proprie radici etniche e culturali favorisce nella persona adottata la capacità di dotare la propria vita di coerenza, significato, valore e obiettivi futuri (Ferrari et al., 2017b). Se allarghiamo lo sguardo al di fuori degli stretti confini familiari per aprirci al contesto sociale in cui le persone adottate sono inserite, rintracciamo ulteriori elementi utili al fine di meglio descrivere e comprendere le sfide di fronte a cui le persone adottate si trovano nel complesso processo di costruzione di un’identità integrata e armonica. Quando la differenza etnica rende lo status adottivo “visibile” agli occhi degli estranei, le differenze somatiche tra genitori e figlio/a possono sollecitare domande o commenti intrusivi e inappropriati sulla propria storia (Docan-Morgan, 2010). E c’è di più: alcune ricerche a livello internazionale hanno mostrato come nella popolazione adottiva sia anche diffusa l’esperienza della discriminazione (Arnold et al., 2016; Koskinen et al., 2015; Lee et al., 2015; Miller et al., 2021; Pinderhughes et al., 2021; Seol et al., 2015): sono soprattutto gli individui adottati etnicamente diversi da altri membri della propria famiglia a riportare livelli più alti di discriminazione etnica rispetto agli individui adottati appartenenti allo stesso gruppo etnico dei genitori adottivi (e.g., Reinoso et al., 2013). Anche la ricerca che abbiamo condotto nel contesto italiano, confrontando un gruppo di adolescenti e giovani adulti/e in adozione internazionale e un gruppo di immigrati/e di seconda generazione, ha evidenziato come le persone adottate sono non di rado vittime di discriminazione, anche se in misura inferiore rispetto ai/lle loro pari immigrati/e (Ferrari et al., 2017c). Uno studio successivo ha evidenziato che la percezione di discriminazione rappresenta un fattore di rischio maggiore per coloro che percepiscono una forte identificazione nazionale italiana, ma si sentono al tempo stesso percepiti dal contesto sociale come stranieri (Ferrari et al., 2021). È infatti l’idea che l’individuo ha di come è percepito dagli altri, definita in psicologia come Sé riflesso, cioè l’immagine di noi stessi/e che gli altri ci restituiscono, a contribuire alla definizione di sé. Tutti/e impariamo a conoscere noi stessi/e e a sapere chi siamo a partire dal giudizio degli altri su di noi o, meglio, da come noi pensiamo che gli altri ci vedano. E questo vale a maggior ragione per il processo di categorizzazione etnica riflessa (Ferrari et al., 2021; 2022). I risultati dello studio indicano che la percezione che la persona adottata ha di come è percepita dagli altri dal punto di vista etnico, cioè come italiana o come straniera (categorizzazione etnica riflessa) influenza la sua identità: più viene riconosciuta e valorizzata la sua appartenenza etnica al background di origine (cioè ad alti livelli di categorizzazione etnica riflessa), più la persona adottata sarà interessata a esplorare e a cercare informazioni su di esso, sostenendo il processo di definizione e valorizzazione della sua identità etnica. Ma questo è vero solo a bassi livelli di percezione di discriminazione: le situazioni in cui i ragazzi e le ragazze percepiscono alti livelli di discriminazione ostacolano il processo di definizione di sé in termini etnici (Ferrari et al., 2019; 2017c; 2021). Come possono reagire quando sentono di essere riconosciuti/e come membri di un gruppo etnico che viene stigmatizzato?
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