Dove corre il mondo? Una questione di cultura: Le regole cognitive della percezione di spazio e movimento.
È possibile, pertanto, che questo bias spaziale possa influenzare altre funzioni cognitive. I ricercatori stanno attualmente studiando gli effetti del fenomeno nel campo dell'attenzione e della memoria: se si chiede a delle persone di fare paragoni tra due immagini od oggetti è probabile, infatti, che ciò che è a sinistra venga preso come modello, divenendo lo standard di comparazione. Anche in altri casi, quindi, giudizi che appaiono totalmente razionali, come mettere a confronto due alternative, possono soffrire di un bias di posizione.
La posizione dell’agente
L’agency si riferisce alla capacità di agire attivamente sul mondo fisico e sociale. Quando due persone si relazionano, assumono spesso ruoli complementari rispetto a questa caratteristica; l’agente è colui il quale mette in atto un comportamento verso il ricevente, che assume un ruolo più passivo. Nel corso di un’interazione le due parti si scambiano spesso di ruolo; tuttavia, in un dato momento, è possibile indicare chi sta compiendo un’azione e chi, invece, la riceve o la subisce; per esempio, nella frase “Marco regala un gioiello a Rebecca” possiamo affermare che Marco è l’agente e Rebecca la ricevente.
Il neuropsicologo Anjan Chatterjee (2002) ha scoperto che questi due ruoli sono legati a specifiche posizioni nello spazio. La sua intuizione è nata dall’osservazione di un paziente con danni neurologici; nello specifico, l’uomo era afasico, cioè aveva difficoltà nella produzione e nella comprensione linguistica ed utilizzava una strategia spaziale per comprendere le frasi. Se gli veniva chiesto di descrivere una scena, in cui un soggetto agiva su un oggetto, egli indicava quello posto a sinistra come l’agente e quello posto a destra come il ricevente, anche se l’azione si svolgeva chiaramente nella direzione opposta.
Questo fenomeno fece pensare a Chatterjee di trovarsi di fronte ad un meccanismo primitivo spaziale e perciò condusse altri studi per testare la sua “ipotesi dell’agency.” Chiese a dei partecipanti, senza disfunzioni cerebrali, di rappresentare attraverso un disegno alcune frasi in cui erano presenti sia un agente (soggetto) che un ricevente (complemento oggetto), come “un cerchio spinge un triangolo” (Chatterjee et al., 1995). Anche in questo caso le persone posizionavano in maggioranza l’agente a sinistra e il ricevente a destra, confermando la presenza di uno spatial agency bias, cioè un bias spaziale legato all’agency. Chatterjee (2002) avanzò un’ipotesi di lateralizzazione emisferica, tuttavia oggi sappiamo che la lingua scritta è il fattore di maggior impatto (e anche Chatterjee si è convertito ad una interpretazione di tipo culturale).
Oltre alla direzione di scrittura si sovrappone l’influenza di un'ulteriore costante linguistica: l’ordine delle componenti sintattiche del periodo. Nella maggior parte delle lingue, infatti, la disposizione degli elementi in una frase attiva prevede che il soggetto preceda l’oggetto: le lingue occidentali seguono solitamente l’ordine soggetto-verbo-oggetto e procedono verso destra, quindi l’agente si troverà alla sinistra del ricevente. Lingue come l’arabo, invece, procedono verso sinistra, ma comunque mantengono la precedenza del soggetto sull’oggetto; in questo caso, pertanto, l’agente sarà alla destra del ricevente. Pochissime lingue, come il Malagasy (parlata in Madagascar) hanno una disposizione sintattica tale per cui l’oggetto è posto prima del soggetto. Nell’esperimento di Chatterjee et al. (1995) i risultati più significativi si sono ottenuti, appunto, con le frasi attive, le quali presentavano la tipica struttura spaziale linguistica con l’ordine soggetto-verbo-oggetto e la rendevano accessibile ai partecipanti: in tal modo, le persone trovavano più immediata la rappresentazione con l’agente a sinistra.
Prendendo in considerazione quanto detto finora, dobbiamo concludere che siamo irrimediabilmente condizionati, nelle percezioni, dalla direzione della nostra scrittura? In parte sì; tuttavia i ricercatori sembrano essere fiduciosi sulle possibilità di modificare questo bias attraverso le influenze prossimali del contesto. Infatti la scrittura è presente ogni giorno nella nostra vita e, pertanto, mantiene uno schema spaziale costantemente attivo nella mente; uno studio (Suitner, 2009) ha, però, dimostrato che un semplice esercizio di scrittura nella direzione opposta riesce a diminuire sensibilmente il bias, aprendo così le porte alla possibilità di tenere sotto controllo questo spostamento sistematico del giudizio.
Si è visto, infine, che il bias agisce maggiormente in concomitanza con uno stile di elaborazione delle informazioni più astratto, mentre quando i termini diventano concreti e analitici ci sono minori effetti (Suitner & Giacomantonio, 2012); anche questi risultati indicano come il contesto immediato possa variare la forza del fenomeno. Pertanto, nel caso di un evento molto chiaro e concreto, la sola posizione spaziale non è un indizio molto rilevante; tuttavia, in situazioni astratte o di grande ambiguità, lo spatial agency bias può influenzare le opinioni e i giudizi delle persone, riguardo ciò che sta accadendo. Questo fatto risulta particolarmente importante perché è legato alla formazione e al mantenimento di convinzioni e stereotipi sociali.
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