Come ridurre il pregiudizio: Il punto di vista della psicologia sociale

Varie forme di pregiudizio

È certamente un’esperienza comune e ricorrente quella di vedere in televisione (e anche in prima persona) o di leggere sui giornali di episodi caratterizzati da frasi ingiuriose, o addirittura di aggressioni vere e proprie, dirette ai danni di persone indifese appartenenti a gruppi stigmatizzati, come ad esempio gli omosessuali, i disabili, gli immigrati, gli anziani, le persone obese. In questi casi, si tratta di atti di vera e propria discriminazione, commessi in maniera plateale contro individui la cui colpa è unicamente quella di appartenere a specifici gruppi. Tali espressioni di pregiudizio sono piuttosto diffuse e si ritrovano a tutti i livelli della società, dal mondo del lavoro a quello della scuola, un ambito in cui si assiste frequentemente a episodi di esclusione dal gruppo dei pari degli appartenenti a gruppi svalutati. Sebbene questi atti producano conseguenze negative sulle relazioni tra i gruppi e, di conseguenza, sulla società in generale, essi hanno perlomeno un vantaggio dal punto di vista di quanti interessati a ridurre il pregiudizio: sono chiaramente riconoscibili e, quindi, più semplici da affrontare, in quanto è facile individuare chi è la vittima e chi l’aggressore.

Occorre però considerare che non sempre il pregiudizio è espresso in modo così aperto o evidente. Si pensi per esempio al caso, molto comune, nel quale un italiano, dovendo scegliere dove sedersi sul treno, a parità di posti liberi, tenda automaticamente a mettersi accanto a un altro italiano rispetto a un immigrato. Tra quelli che viaggiano in treno, molti avranno infatti notato che solitamente vi sono più posti liberi vicino a immigrati che non ad italiani. Un altro esempio si può avere osservando, ad esempio, una relazione tra un normodotato e un disabile che non si conoscono: non sarà difficile notare che il normodotato, nella maggior parte dei casi, tende a evitare lo sguardo del disabile (si veda Pruett & Chan, 2006; Vezzali, Capozza, & Pasin, 2009). Questi sono due esempi di comportamenti “non verbali,” che le persone mettono in atto in maniera automatica, senza cioè esserne consapevoli; tali comportamenti dipendono in larga misura da quello che viene definito “pregiudizio implicito” o “inconscio” (Gawronski & Bodenhausen, 2006). In particolare, quanto più le persone hanno pregiudizio implicito verso un determinato gruppo sociale, tanto più metteranno in atto comportamenti non verbali che esprimono distacco e disagio (Greenwald, Poehlman, Uhlmann, & Banaji, 2009). Nonostante questo tipo di pregiudizio sia sottile e indiretto, esso ha conseguenze talvolta ancora più pericolose di quello espresso in maniera manifesta e plateale. Infatti, vi sono indicazioni che, sebbene i membri di gruppi svantaggiati che prendono parte a un incontro intergruppi non siano generalmente consapevoli dei comportamenti non verbali negativi espressi dai membri dei gruppi avvantaggiati, essi ne sono comunque influenzati, tanto che giudicano la piacevolezza dell’interazione e il proprio interlocutore non tanto sulla base di quanto detto verbalmente, ma proprio in base ai suoi comportamenti non verbali (Dovidio, Kawakami, & Gaertner, 2002). È evidente come valutazioni negative delle interazioni intergruppi determinate da comportamenti non verbali negativi dell’interlocutore portino, a lungo andare, a evitare relazioni con l’outgroup e a “rinchiudersi” nell’ingroup. Inoltre, la pericolosità del pregiudizio implicito risiede soprattutto nel fatto che è difficile da riconoscere (e quindi da combattere con interventi mirati), anche perché le persone stesse che lo attuano non ne sono consapevoli e possono reagire in maniera negativa se etichettata come “razziste” (Dovidio & Gaertner, 2004).

Combattere il pregiudizio: l’ipotesi del contatto

Quasi 60 anni fa Gordon Allport (1954) formulò la celebre ipotesi del contatto. Secondo questo autore, il pregiudizio e la discriminazione nascono dalla mancanza di conoscenza tra membri di gruppi diversi. Quindi, se alle persone viene data l’opportunità di incontrare individui appartenenti all’outgroup, esse scopriranno che in fondo molti pregiudizi e stereotipi sono errati. Di conseguenza, miglioreranno i loro atteggiamenti e comportamenti nei confronti dell’outgroup. È importante notare tuttavia che non sempre il contatto porta a relazione intergruppi più positive. Ad esempio, si è trovato che il pregiudizio è più alto nelle città con maggiore presenza di immigrati, dove vi sono più opportunità di contatto (Volpato & Manganelli-Rattazzi, 2000). Secondo Allport (1954; si veda anche Pettigrew, 1998), per ottenere effetti positivi sulle relazioni intergruppi è importante che il contatto avvenga tra persone con status uguale nel contesto considerato e che la relazione sia cooperativa, volta al raggiungimento di scopi comuni e caratterizzata da sostegno istituzionale (cioè, che avvenga in un clima sostenuto da norme sociali favorevoli al contatto tra i gruppi). Inoltre, il contatto deve favorire lo scambio di informazioni personali e portare alla formazione di amicizie intergruppi durevoli (Amir, 1969; Pettigrew, 1997). Tali condizioni, definite “ottimali,” sono quindi necessarie affinché il contatto riduca il pregiudizio (Allport, 1954).

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