Come vediamo una persona che ci racconta di stare male e quanto siamo disponibili ad aiutarla? Il ruolo del genere (e non solo)

Immaginate di essere in giro con alcuni amici e amiche per un aperitivo. Mentre state tornando a casa iniziate a sentire qualcosa di strano, avete qualche brivido di freddo, la gola comincia a farvi male e vi sembra che vi stia venendo un brutto raffreddore. Vi chiedete subito che cosa stia succedendo, pensate ai malesseri sperimentati e dopo qualche minuto arrivate alla conclusione che vi siete ‘beccati’ il virus influenzale che sta girando da qualche giorno in città. Del resto, proprio per lo stesso motivo, anche il vostro amico Luca non è stato bene ed è rimasto a casa per tutta la settimana. Sperimentare sintomi è un’esperienza comune a tutte le persone. A volte questi sono transitori e non influenzano in modo sostanziale l’andamento della vita quotidiana, altre volte, invece, persistono e mettono a dura prova le capacità degli individui di svolgere le attività che solitamente portano avanti ogni giorno (Weinman et al., 1996). Come ci spiega il cosiddetto modello del Senso Comune delle Rappresentazioni della Malattia (i.e., Common Sense Model of Illness Representation; Diefenbach & Leventhal, 1996; Leventhal et al., 1980), ogni volta che le persone sentono che qualcosa in loro non va, si attivano per comprendere ciò che sta accadendo. Prima raccolgono e integrano in una visione cognitivamente ed emotivamente coerente le informazioni sui sintomi che stanno sperimentando e, poi, costruiscono una vera e propria rappresentazione della malattia (RM) che, successivamente, li guiderà nella scelta dei comportamenti necessari per affrontarla. Secondo le ricerche condotte negli anni, la RM può essere scomposta in una serie di dimensioni interrelate tra loro (i.e., identità, cause, conseguenze, durata e controllabilità/curabilità; per una definizione puntuale si veda il glossario; Leventhal et al., 1997; Moss-Moris et al., 2002) e può essere influenzata da molteplici fattori, tra i quali, l’esperienza sintomatologica, le conoscenze che le persone hanno acquisito nel corso del tempo sulle problematiche legate alla salute o, ancora, le opinioni e/o le indicazioni che ricevono durante gli scambi comunicativi sia con persone esperte (e.g., i medici) sia con persone non esperte (i.e., laypeople; e.g., familiari, amici/che o semplici conoscenti) (Hagger et al., 2022). Anche se può sembrare strano, il punto di vista di chi non ha particolari competenze mediche ha un grande peso nel modo in cui la rappresentazione della malattia prende forma (e.g., Cameron et al., 1993). Le ricerche degli ultimi cinquanta anni, infatti, hanno dimostrato che quando le persone sperimentano dei sintomi, si rivolgono spesso a figure non esperte nel tentativo di dare una risposta ad alcune domande (ad esempio, ‘che cosa mi sta succedendo?’ o ‘cosa posso fare?’) e lo fanno prima ancora di consultare il medico di riferimento o di recarsi presso i servizi socio-sanitari di competenza (Suls et al., 1997). In una ricerca condotta su pazienti dell’ospedale universitario dell’Iowa, ad esempio, prima del ricovero, l’89% di loro aveva interpellato almeno una persona non esperta per ricevere suggerimenti sulla possibile identità dei sintomi esperiti ma anche sull’importanza (o meno) di rivolgersi a uno/a specialista (Martin et al., 2004).
 

Come costruiamo la rappresentazione della malattia?

 
Le persone che fanno parte della nostra rete sociale sono dei punti di riferimento importanti per orientarci nella complessità della nostra vita quotidiana: per questo motivo ci rivolgiamo a loro in cerca di supporto per le questioni più svariate, dalle questioni fiscali a quelle burocratiche fino ad arrivare ai problemi relativi alla nostra salute. In questo senso, trasformiamo spesso le persone (e veniamo trasformati/e da loro) in veri e propri intuitive physician ossia, medici profani che forniscono consulenza quasi come dei veri medici e hanno un notevole impatto sulle decisioni che vengono prese in proposito. Vista la centralità di questo processo diagnostico di tipo informale, studiosi/e hanno iniziato ad analizzare come queste persone possono costruirsi la rappresentazione di una malattia (RM), fornire suggerimenti legati alla salute e, ancora, mettere in atto comportamenti di supporto verso chi sperimenta dei malesseri (Suls et al., 2013).
 
È lo stress!
 
Una delle informazioni che può influenzare la RM è la presenza nella vita delle persone di situazioni stressanti. Secondo la cosiddetta ‘stress-illness rule’, se un serie di sintomi compare durante una fase in cui un individuo sta affrontando circostanze percepite come eccessive rispetto alle risorse a disposizione, allora le persone tenderanno a interpretare quei sintomi come conseguenza dello stress piuttosto che come effetto di aspetti di natura fisica-organica (Baumann et al., 1989; Leventhal & Diefenbach, 1991). Questo processo è stato analizzato in diversi studi, tra i quali quelli condotti dal gruppo di ricerca di Martin e collaboratori (1998). Dai dati raccolti è emerso che di fronte alla descrizione di una persona con sintomi tipici dell’infarto del miocardio, i/le partecipanti tendevano ad attribuire in misura minore i malesseri a cause cardiologiche, dunque fisico/organiche, quando questi si presentavano in concomitanza con un periodo descritto come molto (vs. poco) stressante, e questo avveniva soprattutto se la persona sofferente era una donna.

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