Come vediamo una persona che ci racconta di stare male e quanto siamo disponibili ad aiutarla? Il ruolo del genere (e non solo)
Altri lavori, sempre realizzati nell’ambito delle malattie cardiologiche, hanno mostrato come la presenza di stress rende meno riconoscibili i sintomi tipici di un attacco cardiaco, ne influenza la valutazione portando gli individui a considerare i malesseri come meno pericolosi e, infine, condiziona i suggerimenti da loro forniti, rendendo meno probabile il consiglio di cercare un supporto medico (e.g., Swartzman & McDermid, 1993). Risultati comparabili sono emersi rispetto all’interpretazione dei sintomi tipici di una patologia auto-immune chiamata ‘dermatomiosite’ (e.g., Istituto Superiore di Sanità, 2021; per una definizione puntuale si veda il glossario). In questo caso, la presenza di una condizione di stress ha condotto le persone ad attribuire la causa dei malesseri ad aspetti psicologici piuttosto che organici e, come conseguenza, a consigliare in misura maggiore visite volte a indagare la salute mentale piuttosto che fisica dei sufferer, sia uomini sia donne (Giovannelli et al., 2023).
È una tua suggestione!
Un elemento che può incidere notevolmente sull’interpretazione della malattia da parte dei laypeople è la presenza simultanea di sintomi di diversa natura. Come sottolineato da Sartorius (2013), quando più malesseri si combinano insieme, sia le persone esperte in campo medico sia quelle non esperte tendono a focalizzare l’attenzione solo su alcuni di essi e a utilizzarli in modo privilegiato nella formulazione della rappresentazione della malattia. Questo meccanismo è stato dimostrato in una ricerca realizzata recentemente in Italia (Giovannelli et al., 2023). Di fronte a una persona che riporta solo sintomi fisici, le persone tendono ad attribuire l’eziologia degli stessi ad aspetti prevalentemente organici. Ma, al contrario, se oltre ai sintomi fisici ne vengono presentati altri, come ad esempio, ansia e preoccupazione, allora l’interpretazione organica viene messa da parte in favore di una psicologica. Oltre a questo, la co-presenza di sintomi fisici e psicologici porta le persone a suggerire in misura maggiore visite mediche legate ad aspetti psicologici o psichiatrici piuttosto che organici, attraverso la mediazione dell’interpretazione psicologica dei malesseri riportati. Questi risultati sono in linea con quelli forniti da alcune ricerche condotte con medici/he di medicina generale e specialisti/e della salute, dalle quali emerge che la presenza simultanea di sintomi fisici e psicologici conduce a una svalutazione dell’interpretazione organica dei malesseri (Graber et al., 2000; Jones et al., 2008). Dunque, i dati raccolti sembrano confermare l’esistenza del fenomeno noto come psychogenic stereotyping, ossia la tendenza secondo la quale la mera disponibilità di una spiegazione psicologica porta le persone a privilegiarla, anche in presenza di netti sintomi fisici (Wiener, 1975).
È la vecchiaia!
La rappresentazione della malattia può essere influenzata anche da alcune caratteristiche costitutive degli individui che riportano i sintomi come, ad esempio, l’età. Come è noto, all’avanzare dell’età, le energie e le capacità degli individui possono iniziare a subire un declino. Dunque, quando alcuni malesseri o difficoltà fisiche compaiono, le persone tendono a interpretarli come l’esito naturale del tempo che passa piuttosto che come l’emergere di una patologia fisica. Tale processo, conosciuto come ‘age-illness rule’, si verifica, per l’appunto, quando le cause dei sintomi di lieve entità e a insorgenza graduale vengono imputate all’avanzare del tempo piuttosto che alla comparsa di una reale malattia a base fisico-organica (Prohanska et al., 1987). Sebbene questo aspetto possa sembrare irrilevante, non lo è affatto. Infatti, se da una parte attribuire i sintomi alla vecchiaia può tranquillizzare e ridurre le sensazioni di disagio emotivo associate alle difficoltà sperimentate, dall’altra, può ritardare la ricerca di un parere esperto e, di conseguenza, l’accesso alle cure necessarie (Leventhal & Diefenbach, 1991).
Uomo, donna: come cambia la rappresentazione della malattia?
Gli studi realizzati su pazienti affetti da diverse malattie - dal Parkinson alla sindrome del colon irritabile (e.g., Hamberg et al., 2004; Hariz & Hariz, 2000) - hanno messo in evidenza che spesso, a parità di sintomi e gravità degli stessi, le donne vengono sottoposte in misura minore a esami clinici per accertare le cause e le specificità dei malesseri che presentano e vengono trattate con maggiore ritardo rispetto agli uomini (Hamberg, 2008). A questo proposito, sono emblematici i risultati di alcune ricerche condotte negli Stati Uniti, in Canada e in Scandinavia. Secondo i dati raccolti, quando le pazienti sono donne (vs. uomini) vengono investite minori risorse economiche per lo svolgimento di trattamenti ‘clinic-based’ a loro rivolti (Osika et al., 2008), vi è un minore ricorso a unità di terapia intensiva e interventi ‘salva-vita’ in caso di necessità e, ancora, i tempi di attesa per ricevere una terapia sono superiori (Fowler et al., 2007). In relazione a questo ultimo aspetto, un’interessante ricerca che ha analizzato gli accessi al pronto soccorso per dolore addominale, ha evidenziato che, mentre nel caso di pazienti di sesso maschile il tempo medio di attesa per ottenere un trattamento è di circa quarantanove minuti, nel caso di pazienti di sesso femminile il minutaggio sale a sessantacinque (Fassler, 2015).