Come vediamo una persona che ci racconta di stare male e quanto siamo disponibili ad aiutarla? Il ruolo del genere (e non solo)

Inoltre, il genere dei pazienti può avere un effetto anche sulla formulazione delle diagnosi e sulla tipologia delle cure farmacologiche offerte. Studi condotti sempre nell’ambito delle malattie cardiovascolari hanno trovato che, di fronte a una persona di sesso femminile, i/le professionisti/e della salute sono più propensi ad analizzare e attribuire i sintomi riportati a cause psicologiche piuttosto che organiche, soprattutto se questi si presentano come atipici (e.g., Adams et al., 2008; Dreyer et al., 2013). Ma oltre a questo, le ricerche hanno anche messo in evidenza che, essendo frequente l’idea che i sintomi delle donne siano causati da aspetti psicologici, anche i trattamenti che vengono loro offerti sono in linea con questa interpretazione e, dunque, alle persone di sesso femminile vengono prescritti più frequentemente psico-farmaci rispetto a quanto non avvenga alle persone di sesso maschile (e.g., Linden et al., 1999; Simoni-Wastila, 2000). Se tutto quello che abbiamo detto finora ha a che fare con l’operato dei professionisti e delle professioniste della salute, in che modo il genere influenza le nostre valutazioni in qualità di laypeople? Le ricerche a questo proposito hanno ottenuto risultati contrastanti. Alcuni studi hanno dimostrato una svalutazione delle cause organiche in favore di quelle psicologiche nel caso in cui i sufferer siano di sesso femminile (Martin et al., 1998, 2004). Altri studi, invece, o non hanno individuato nessuna relazione (Giovannelli et al., 2023; Martin et al., 1998), oppure, l’hanno trovata solo quando il genere veniva presentato in combinazione con altri elementi, quali ad esempio, la presenza di situazioni stressanti nella vita di chi sperimentavano sintomi (Chiaramonte & Friend, 2006). In virtù di questi risultati incoerenti, alcuni/e studiosi/e hanno cercato di analizzare il ruolo di ulteriori variabili sempre legate al genere, ma meno esplicite di quest’ultimo, come, ad esempio i tratti stereotipici di genere, ossia su quell’insieme di atteggiamenti e comportamenti che vengono considerati più appropriati e desiderabili per le persone in base al loro sesso biologico (e.g., Prentice & Carranza, 2002). Se i tratti stereotipicamente femminili di solito includono caratteristiche come la sensibilità o l’emotività, quelli stereotipicamente maschili generalmente fanno riferimento alla forza, determinazione o, ancora, assertività (e.g., Bem, 1981). Da uno studio realizzato nel 1981 (Bernstein & Kane) sugli atteggiamenti dei medici, era emerso che di fronte a individui con caratteristiche stereotipicamente femminili, quali, ad esempio, l’espressività (cioè la tendenza a condividere problematiche personali), gli/le esperti/e tendevano a privilegiare una diagnosi psico-somatica, indipendentemente dal fatto che i pazienti fossero maschi o femmine. Analogamente, Pelletier et al. (2014) hanno trovato che i/le pazienti che si erano auto-descritti/e utilizzando in misura maggiore tratti di personalità stereotipicamente femminili (vs. maschili) avevano avuto una probabilità superiore di ricevere cure di bassa qualità (e.g., ritardo nelle procedure o minore probabilità di ricevere interventi non primari). Dunque, alla luce dell’effetto che i tratti stereotipicamente femminili avevano avuto sugli/lle specialisti/e della salute, Giovannelli et al. (2024) si sono chiesti/e se un impatto simile non potesse verificarsi anche sui/lle laypeople. Dai risultati è emerso che le caratteristiche stereotipicamente femminili (e.g., emotività, insicurezza) sono in grado di determinare - rispetto a quelle maschili (e.g., coraggio, determinazione) - una maggiore attribuzione di sintomi fisici ad aspetti di natura psicologica (vs. fisico-organica), una maggiore propensione delle persone a consigliare di svolgere visite mediche coerenti con l’interpretazione avanzata (i.e., psicologica) e, ancora, una minore disponibilità a fornire supporto a chi sperimenta i malesseri, a prescindere che siano donne o uomini. Ciò non stupisce se si pensa che secondo gli studi sul ‘gender health gap’, ossia le discrepanze di considerazione e trattamento in base al sesso delle persone, una delle  ideologie che maggiormente influenza l’interpretazione dei sintomi e le conseguenti azioni dirette ai/lle pazienti è quella secondo la quale i malesseri sperimentati dalle donne sono dovuti principalmente a fattori ‘non controllabili’, come l’emotività, la sensibilità o la fragilità psicologica, mentre quelli degli uomini a fattori ‘controllabili’ che, invece, fanno riferimento ai comportamenti realizzati (Benrud & Reddy, 1998). Ne deriva che, i tratti stereotipicamente femminili possono agire sulle donne esattamente come il genere, sollecitando la credenza secondo la quale i loro sintomi fisici sono effetto soprattutto della loro suddetta fragilità psicologica e, dunque, non sono altro che malesseri frutto di una fantasia che non necessita un’attenzione seria. Al contrario, i tratti stereotipici femminili possono agire sugli uomini minacciando la loro ‘mascolinità’, facendoli apparire ‘deboli’ come le donne e, di conseguenza, attivare nei loro confronti gli stessi comportamenti generalmente diretti alle persone di sesso femminile. Queste ricerche nel complesso, mostrano come anche caratteristiche meno esplicite del genere delle persone possono comunque influenzare percezioni e intenzioni comportamentali e, perciò, devono essere tenute in considerazione per evitare il verificarsi di trattamenti iniqui, anche in relazione alla salute.

 

Conclusioni

 
Nei decenni passati, la medicina è stata più volte rimproverata di aver tralasciato l’importanza del genere sia nella progettazione degli studi sia nella pratica clinica.

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