La Deumanizzazione delle Minoranze Zingare*

Keywords: pregiudizio; deumanizzazione; ontologizzazione; outgroup; zingari

Quando un Ministro della Repubblica Italiana è paragonato ad un orango dai suoi avversari politici e un giocatore professionista di calcio è salutato dai tifosi con banane di plastica e “buuu” onomatopeici, ci si domanda se la psicologia sociale possa offrire degli strumenti per spiegare e soprattutto prevenire tali comportamenti.

A Treviglio (BG), il 14 luglio 2013, durante un comizio alla Festa della Lega, il senatore Calderoli descrive così l’allora Ministro per l’Integrazione Cecile Kyenge: "Amo gli animali, orsi e lupi com’è noto, ma quando vedo le immagini della Kyenge non posso non pensare, anche se non dico che lo sia, alle sembianze di orango". Pochi mesi prima, nel febbraio 2013, l’indisciplinato Mario Balotelli, attaccante nero del Milan viene insultato ripetutamente dalla curva interista, sua ex-squadra, con lancio di banane sul campo e cori di “buuu”.

La prospettiva psicosociale spiega il pregiudizio (si veda glossario) e la discriminazione come fenomeni legati alle relazioni tra gruppi. Alla base del pregiudizio, ossia un atteggiamento che coinvolge giudizi, emozioni e azioni svalutative verso un individuo (Brown, 1995), ci sarebbe sempre un processo di categorizzazione sociale: il pregiudizio è tale proprio perché viene subìto da un individuo in quanto appartenente ad una specifica categoria. Secondo la Teoria dell’Identità Sociale (Tajfel & Turner, 1979), il favoritismo per l’ingroup (ossia il nostro gruppo, il gruppo al quale sentiamo di appartenere) e la discriminazione dell’outgroup (ossia il gruppo al quale non apparteniamo) si fondano sulla motivazione individuale a mantenere alta l’autostima: essendo l’immagine di sé fortemente legata ai gruppi con i quali l’individuo si identifica, egli si impegnerà in una serie di confronti sociali attraverso i quali tenderà a promuovere un’immagine positiva del proprio gruppo, a scapito dei gruppi estranei. Negli studi condotti attraverso il paradigma dei gruppi minimi, Tajfel, Billig, Bundy e Flament (1971) hanno trovato evidenze a sostegno della tesi secondo cui la categorizzazione in gruppi differenti (ingroup vs. outgroup) è condizione necessaria e sufficiente per lo sviluppo del conflitto intergruppi e per la discriminazione dei membri dell’outgroup.

Gli studi sulla deumanizzazione

Da alcuni decenni, l’attenzione degli studiosi sociali è rivolta allo studio di quelle forme particolarmente gravi di discriminazione caratterizzate dalla negazione totale o parziale dell’umanità altrui, ovvero dalla deumanizzazione (si veda glossario), ossia la tendenza a percepire gli altri come meno umani, non umani o sub-umani (Haslam, 2006; Haslam, Bain, Douge, Lee & Bastian, 2005). La deumanizzazione costituisce infatti una forma “aggravata” di discriminazione per suoi contenuti – poiché viene messa in discussione una delle proprietà basilari della persona, ovvero l’umanità – e per le sue conseguenze poiché, come sottolineato da vari studiosi (Opotow, 1990; Staub, 1989), la deumanizzazione è stata spesso identificata come antecedente delle atrocità e della violenza collettiva. Infatti, deumanizzare i membri di un gruppo, ossia considerarli meno umani dell’ingroup, può legittimare l’esclusione del gruppo dalla comunità degli esseri umani, facilitare il disimpegno morale e l’aggressività verso di essi (Volpato, 2011).

Le ricerche empiriche sul tema hanno utilizzato definizioni di deumanizzazione legate a due aspetti: (1) da un lato, alla percezione dei membri dell’outgroup come esseri meno umani rispetto ai membri del gruppo a cui si appartiene (negazione delle caratteristiche umane); (2) dall’altro alla associazione dei membri dell’outgroup ad esseri viventi non-umani (attribuzione di caratteristiche animali oppure associate agli automi) (Loughnan, Haslam & Kashima, 2009).

Deumanizzazione come negazione delle caratteristiche umane

Alcuni studi nell’ambito dell'infraumanizzazione hanno esemplificato questo processo attraverso la distinzione tra emozioni primarie, ossia le reazioni emotive che sia uomini sia animali possono provare come tristezza, paura, gioia, ed emozioni secondarie, ossia emozioni più complesse che si crede solo gli umani provino, come rimorso, nostalgia, orgoglio. Gli autori hanno scoperto che le emozioni secondarie, ossia le emozioni unicamente umane, sono maggiormente attribuite ai membri dell’ingroup piuttosto che ai membri dell’outgroup. Questa negazione di emozioni secondarie ai membri dell’outgroup indicherebbe che essi sono percepiti in maniera sottile come meno umani rispetto ai membri dell’ingroup (Leyens, Demoulin, Vaes, Gaunt, & Paladino, 2007; Leyens et al., 2001).

 

* Nota degli Autori. Pur consapevoli della connotazione negativa assunta nel tempo dalla parola “zingari”, ci assumiamo, come Autori del lavoro, la responsabilità di tale scelta. Riteniamo infatti che tale parola sia l’unica che possiamo usare per definirli correttamente. Certo, non nomadi, che riguarda solo, e solo parzialmente, alcuni gruppi. Rom esclude invece i Sinti, i Gitani, i Manouches. Non  esiste un termine "neutro". Dunque, se è necessario, come nel caso di questo articolo, utilizzare un termine che comprenda tutti i gruppi etnici, non c'è alternativa: occorre usare zingari.

 

Deumanizzazione come attribuzione di caratteristiche animali vs. tipiche delle macchine

Negli studi di Haslam (Bain, Park, Kwok & Haslam, 2009; Bain, Vaes, Kashima, Haslam & Guan, 2012; Haslam, 2006) è stato proposto un modello di deumanizzazione che prevede due dimensioni di umanità: 1) le caratteristiche unicamente umane: si fondano sulla presenza di risorse prettamente cognitive e includono l’autocontrollo, la raffinatezza di pensiero, l’apprendimento, il linguaggio, le emozioni secondarie, l’apertura alle esperienze e la coscienziosità. Queste caratteristiche non sono condivise con gli animali, si acquisiscono tipicamente durante la socializzazione e si diversificano in base ai contesti culturali; 2) le caratteristiche della natura umana: sono costituite da elementi tipicamente umani, sebbene possano essere condivise con gli animali, come il calore, la flessibilità e il provare emozioni (primarie); si tratta infatti di componenti innate, naturali, affettive e universali.

Nell’ambito della deumanizzazione animalistica, le persone alle quali vengono negate le caratteristiche unicamente umane, che sono quelle che differenziano l’essere umano dagli animali, sono considerate incolte, incapaci di autocontrollo, irrazionali, infantili, immature. I loro comportamenti sono ritenuti poveri di razionalità e quindi guidati da desideri e istinti (Bain et al., 2009). Saminaden, Loughnan e Haslam (2010) hanno mostrato, sia attraverso l’uso di misure esplicite ossia questionari carta-matita, sia implicite ossia fondate su processi non consapevoli di associazione automatica tra due pensieri, che alle popolazioni indigene, come aborigeni australiani e melanesiani, e agli zingari, vengono associate parole tipicamente animali, come per esempio cane e gatto, in misura maggiore rispetto agli europei e agli statunitensi. Nella stessa direzione, uno studio recente sulla deumanizzazione ha mostrato che i membri di gruppi di alto status percepiscono l’ingroup come più umano, ossia attribuiscono maggiormente ai membri del proprio gruppo parole tipicamente umane come celibe e cittadino rispetto che ai membri dell’outgroup di basso status (Capozza, Andrighetto, Di Bernardo, & Falvo, 2012).

Nell’ambito della deumanizzazione meccanicistica, la negazione delle caratteristiche tipiche della natura umana può portare ad assimilare gli altri a degli automi o robot e a definirli come freddi, tecnologici, simili a macchine (Martínez, Rodríguez-Bailón, & Moya, 2012).

Il fenomeno dell’ontologizzazione

Tra le varie forme di deumanizzazione studiate in letteratura, il processo di ontologizzazione (si veda glossario) è attualmente oggetto di alcuni studi empirici e affonda le radici nella teoria delle rappresentazioni sociali ossia credenze condivise all’interno di una società che comprendono ampie teorie esplicative su eventi rilevanti per i membri di questa società (Moscovici, 1981). L’ontologizzazione consiste nell’attribuire ai membri dell’outgroup una essenza qualitativamente diversa da quella dei membri dell’ingroup. Secondo Moscovici e Pèrez (2007), il processo di ontologizzazione nasce dall’interazione tra due dimensioni alla base delle rappresentazioni sociali dei diversi gruppi: la dimensione definita attraverso l’opposizione “natura-cultura” e quella definita dall’opposizione “umano-animale”, che possono coincidere in alcuni casi, dato che l’esempio prototipico dell’essere vivente vicino alla natura è l’animale selvaggio. Infatti, tali dimensioni non vanno considerate come ortogonali, bensì come parallele tra loro. Tale rappresentazione si fonda sulla storia della civilizzazione occidentale, che è stata caratterizzata da un tentativo di distinguere gli esseri umani dagli animali attraverso l’uso di dimensioni quali la razionalità, il linguaggio, la consapevolezza, nella convinzione che questi attributi siano quelli che hanno permesso agli esseri umani di sollevarsi dal mondo animale irrazionale e istintivo, per entrare nella civiltà (Agamben, 2004; Baratay, 2003; Pivetti, 2005; Rivera, 2000). Questa visione dualistica è stata rinforzata dalla separazione cartesiana tra natura e cultura, centrale nella storia del pensiero occidentale dall’Illuminismo in poi.

Figura 2. Suoni dal mondo (Immagine riprodotta con il permesso di Domenico Staiti. Autore: Domenico Staiti).Figura 2. Suoni dal mondo (Immagine riprodotta con il permesso di Domenico Staiti. Autore: Domenico Staiti).Come forse già intuito, la deumanizzazione animalistica e il processo di ontologizzazione condividono l’idea che i membri dell’outgroup siano più simili agli animali di quanto lo siano i membri dell’ingroup, ma poggiano su fondamenti teorici diversi: il concetto di natura umana il primo, e il concetto più ampio di rappresentazione sociale il secondo. Inoltre, il focus primario delle ricerche facenti capo all’ontologizzazione è il gruppo degli zingari, come minoranza nomade da cui la maggioranza cerca di distinguersi, mentre la deumanizzazione animalistica è stata studiata in relazione a diversi outgroup come per esempio le popolazioni indigene della Malesia (Saminaden et al., 2010).

Pèrez, Chulvi e Alonso (2001) hanno suggerito che quando una minoranza come quella degli zingari resiste in modo continuativo ai tentativi di assimilazione da parte della maggioranza, questa tende ad attribuire tale mancanza di integrazione ad una differente essenza della minoranza e alla sua incapacità di abbandonare una condizione animale. Questa condizione pone le basi per la fondazione di una nuova ontologia per i membri della minoranza, in virtù della quale sono esclusi, agli occhi della maggioranza, dal mondo degli esseri umani. Nelle loro ricerche svolte in Spagna, gli autori hanno osservato che agli zingari vengono attribuite maggiori caratteristiche naturali (o simili a quelle degli animali) quando ai partecipanti viene rimarcato il fatto che gli zingari non si sono integrati, nonostante i ripetuti tentativi della maggioranza.

Nella stessa direzione, Marcu e Chryssochoou (2005), chiedendo a inglesi e rumeni di descrivere il loro ingroup nazionale e l’outgroup zingaro usando caratteristiche tipicamente umane e tipicamente animali, hanno mostrato il processo di ontologizzazione degli zingari in entrambi i campioni: maggiori caratteristiche culturali sono state attribuite all’ingroup rispetto agli zingari, mentre maggiori caratteristiche naturali sono state attribuite agli zingari rispetto all’ingroup. Secondo gli autori, l’attribuzione di maggiori caratteristiche animali all’outgroup può servire per creare un certo livello di distanza sociale tra i gruppi ed escludere, in questo modo, gli zingari dal regno dell’umanità.

Pèrez, Moscovici e Chulvi (2007) hanno osservato che la minoranza zingara, confrontata con la maggioranza non-zingara, è ontologizzata in maniera più negativa quando il contesto in cui è presentata è tale da minacciare la differenziazione antropologica del partecipante non-zingaro. Gli autori ritengono che esista una rappresentazione sociale che organizza la relazione tra esseri umani e animali: il domestico e il selvaggio. Mentre l’animale addomesticato è espressione della cultura umana, l’animale selvaggio è espressione della natura. Alla minoranza zingara sono attribuite più caratteristiche animali nel caso in cui i partecipanti siano stati precedentemente esposti a un priming che mostrava un animale selvaggio (una scimmia) e che rappresentava la natura, in confronto a quando erano esposti ad una foto di un animale addomesticato (un cane), che rappresentava la cultura. Poiché è consueto mantenere una distanza fisica con animali selvaggi come leoni e orsi, nel primo caso, la presenza della natura (ossia l’animale selvaggio) ha agito come una minaccia alla cultura umana (ossia l’essere umano), sfidando la differenziazione antropologica tra esseri umani e animali. In questo senso, il processo di ontologizzazione della minoranza zingara sembrerebbe in grado di ridurre la minaccia antropologica attraverso la collocazione della minoranza zingara, nel continuum esseri umani-animali, più vicino al polo animale.

L’ontologizzazione degli zingari in Abruzzo

Non esistono dati statistici ufficiali sulla presenza degli zingari in Italia, non essendo stati mai censiti in maniera organica; il loro numero potrebbe essere di circa 120-140 mila. Tra questi, circa 70.000 sono cittadini italiani. Secondo alcune stime (Liegeois, 1994; Opera Nomadi, Comunità di Sant’Egidio, Ministero dell’Interno) fino alla metà degli anni Novanta le cifre dichiarate erano tra i 90.000 e i 120.000, di cui più della metà cittadini italiani (Sinti, Rom Abruzzesi, Camminanti Siciliani, Calderasa). Alcuni zingari, di più recente immigrazione, provenienti dalle regioni della Ex-Yugoslavia, come Croazia, Bosnia-Erzegovina e Kosovo, sono arrivati in Italia durante la Guerra civile jugoslava tra il 1991 e il 1995 (Morozzo della Rocca, 2008); ultimi cronologicamente sono gli Zingari provenienti dalla Romania. A differenza di ciò che comunemente si pensa - che gli Zingari siano un popolo nomade, termine con cui sono indicati dalle istituzioni pubbliche e dai mass media – gli Zingari in Italia sono ormai un popolo che si è quasi totalmente sedentarizzato.

In generale, la minoranza zingara in Europa si colloca nella parte più bassa delle graduatorie internazionali in base a numerosi indici comparativi come per esempio il reddito medio, il tasso di occupazione, l’aspettativa di vita, la scolarizzazione e la salute (The World Bank, 2005), in un intreccio di condizioni sfavorenti come per esempio la loro bassa scolarizzazione, che porta a una bassa occupazione, la microcriminalità diffusa e radicati pregiudizi che precludono l’accesso a condizioni di vita dignitose (European Roma Right Centre, n.d.). In particolare a Pescara, in Abruzzo, vive una comunità di zingari Rom e Sinti relativamente più integrati nel tessuto sociale rispetto agli zingari di più recente immigrazione.

Un recente studio italiano ha investigato il processo di ontologizzazione dello “zingaro tipico” (nelle ipotesi più legato all’immaginario dello zingaro nomade, che vive nei campi e si sposta su roulotte, forse associato ad alcuni film come per esempio quelli di Emir Kusturica e quelli interpretati dall’attore Johnny Deep) e dello “zingaro italiano” (quello stanziale pescarese) (Berti, Pivetti & Di Battista, 2013). Il compito sperimentale consisteva nell’attribuzione di sei aggettivi animali positivi come per esempio socievole e libero, sei animali negativi come per esempio incontrollabile e selvaggio, sei umani positivi come intelligente e istruito e sei umani negativi come invidioso e falso, a tre target: un “italiano tipico”, uno “zingaro italiano tipico” e uno “zingaro tipico”. Ai partecipanti non veniva fornita una descrizione dei tre target, ma con una domanda aperta all'inizio del questionario si chiedeva loro di descrivere uno dei tre target.

I partecipanti hanno usato gli aggettivi animali e umani in maniera differente per l’ingroup italiano (non zingaro) e per i due outgroup zingari. Infatti agli zingari e agli zingari italiani sono state attribuite più caratteristiche animali che umane, mentre agli italiani sono state attribuite più caratteristiche umane che animali, evidenziando un processo di ontologizzazione degli zingari e di superumanizzazione del gruppo italiano ossia di attribuzione di maggiori caratteristiche umane, in linea con le ricerche precedenti sull’ontologizzazione (Chulvi & Pérez, 2003; Marcu & Chryssochoou, 2005; Pérez et al., 2007).

In secondo luogo, lo zingaro italiano emerge dal nostro studio come il più discriminato poiché gli vengono attribuite più caratteristiche animali negative, se confrontato con lo zingaro tipico e con l’italiano. In particolare, le caratteristiche animali negative vengono attribuite maggiormente allo zingaro italiano, rispetto allo zingaro tipico e all’italiano. Lo zingaro italiano è descritto infatti come più “egoista” e “avido” e meno “socievole” e “adattabile” dello zingaro.

In accordo con Pérez et al. (2007), si può ipotizzare che per i partecipanti alla ricerca, lo zingaro italiano, con cui si hanno maggiori occasioni di contatto, minacci la natura umana dell’ingroup, più di quanto non faccia lo zingaro tipico, con cui si interagisce di meno. L’ontologizzazione interviene per fare fronte a questa minaccia: lo zingaro italiano è così collocato più vicino al regno animale rispetto allo zingaro. Inoltre, lo zingaro italiano è più ontologizzato poiché è con lui che i partecipanti hanno occasioni di contatto, spesso negativo. L’atteggiamento meno negativo verso lo zingaro tipico è invece rivolto ad uno zingaro astratto, stilizzato, lontano, e dunque non pericoloso come lo può essere un membro di un gruppo concreto, esistente nella realtà e con il quale si è in contatto. Lo “zingaro tipico” è la controparte positiva, romantica, sradicata dalla realtà dello zingaro marginale, negazione di ciò che noi siamo, la negazione di ciò che è accettabile (Galati, 2007).

Conclusioni

Riteniamo, con Todorov, che non riconoscere la piena umanità agli altri sia il modo in cui oggi si manifesta la barbarie. Ecco le sue parole pronunciate nel corso di un’intervista apparsa su Repubblica in occasione dell’uscita del suo saggio “La peur des barbares: Au-delà du choc des civilizations” in cui analizza la paura delle diversità. “Per il mondo occidentale – sostiene lo studioso - i barbari sarebbero gli stranieri, coloro che non conoscono la nostra civiltà e la nostra cultura. Da questo punto di vista, la civiltà coinciderebbe con la nostra tradizione culturale. Sappiamo tutti però che persone che conoscevano benissimo la nostra cultura hanno potuto comportarsi come barbari. Ciò dimostra che barbarie e civiltà non possono essere definite attraverso l'assenza o la presenza di una cultura”. Quindi la barbarie non esiste? chiede l’intervistatore. “La barbarie esiste, ma per definirla, al posto di un criterio culturale, è bene utilizzare la nostra relazione con gli altri. E' civilizzato colui che riconosce la piena umanità degli altri e quindi li tratta nella stessa maniera e con la stessa attenzione che vorrebbe per sé. E' un barbaro invece chiunque rifiuti di riconoscere agli altri la piena appartenenza all'umanità, considerandoli inferiori o infliggendo loro trattamenti disumani. La barbarie trascende le culture, non dipende dall'educazione o dalle conoscenze. Non è una categoria culturale, ma una categoria morale” (La Repubblica, 12 settembre 2008).

Gli zingari, oggi come in passato, sono i minoritari tra le minoranze e la convivenza serena con loro è necessaria per la costruzione di una società più giusta e inclusiva.

Glossario

Pregiudizio. Componente affettiva di un atteggiamento ostile o negative nei confronti dei membri di un gruppo, basato unicamente sull’appartenenza a quel determinato gruppo (Aronson, 1997)

Deumanizzazione. E’ una forma radicale di svalutazione che consiste nella negazione dell’umanità; è un processo che introduce un’asimmetria tra chi gode della qualità proto-tipiche dell’umano e chi ne è considerato carente. Nei secoli si sono succedute metafore subumane, sovraumane, oggettuali, biologiche e meccaniche, in accordo di volta in volta con il contesto sociale, che hanno accompagnato conflitti e stermini (Volpato, 2011).

Ontologizzazione. Consiste nell’attribuire ai membri dell’outgroup una essenza qualitativamente diversa da quella dei membri dell’ingroup, che vengono avvicinati al mondo animale. Tale processo nasce da due dimensioni alla base delle rappresentazioni sociali dei diversi gruppi: la dimensione definita attraverso l’opposizione “natura-cultura” e quella definita dall’opposizione “umano-animale” (Moscovici & Perez, 2007).

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