Sangue giusto. Memorie coloniali nel racconto di Francesca Melandri

Il colonialismo italiano è stato un fenomeno circoscritto nello spazio e nel tempo, un fenomeno che è arrivato all’apice quando le più importanti potenze coloniali avevano già avviato il processo di decolonizzazione, e che si è concluso in modo brusco e inglorioso. Silenzio, oblio, sentimenti di autoassoluzione continuano a segnare il ricordo di quel periodo e la cosa fa riflettere se si pensa che alla conquista dell’Etiopia partecipò quasi mezzo milione di uomini. Il colonialismo ha infatti coinvolto una parte importante della popolazione italiana; come ha sottolineato Angelo Del Boca, almeno due milioni di nostri connazionali operarono, per periodi più o meno lunghi, nei territori africani occupati, come indica il fatto che ancora oggi una famiglia su dieci possiede un oggetto di provenienza coloniale.
Nonostante questo, l’esperienza coloniale italiana continua a essere oggetto di una profonda rimozione; solo recentemente il suo ricordo riaffiora nella coscienza della nazione, ma in modi ancora episodici, senza che una riflessione profonda porti alla consapevolezza di quanto compiuto e a una volontà di riparazione verso vittime ed eredi. La mancata assunzione di responsabilità emerge, ad esempio, nell’atteggiamento di insensibilità verso i naufragi che si ripetono nel canale di Sicilia, molte vittime dei quali provengono dalle ex colonie italiane, caratterizzate ancora oggi da povertà, instabilità politica, conflitti.
Il romanzo Sangue giusto di Francesca Melandri, pubblicato da Rizzoli nel 2017, ha il merito di squarciare il velo di silenzio raccontando le vicende di una famiglia italiana dagli albori del Novecento all’epoca berlusconiana. L’autrice pone sulla scena tre generazioni con le loro passioni, i loro conflitti, le loro sofferenze. Il racconto inizia quando i componenti dell’ultima generazione scoprono all’improvviso che il padre, negli anni della conquista dell’Etiopia, aveva avuto un figlio con una donna africana, una scoperta che arriva quando un ragazzo etiope, immigrato clandestino, attende Ilaria, sostenendo di chiamarsi Shimeta Ietmgeta Attilaprofeti e di essere il nipote di Attilio Profeti, padre di Ilaria. Inizia qui un lungo lavoro di scoperta, ripensamento, ricognizione nella storia famigliare e nazionale, che coinvolgerà tutti i membri della famiglia cambiando le loro vite. Ilaria e gli altri protagonisti sono costretti a scavare nel passato scoprendo eventi che una tenace rete di omertà era riuscita a  nascondere per decenni.
Il racconto di Melandri ci tiene avvinti alla pagina nel tentativo di capire e ricostruire una storia che è anche nostra. Durante la lettura veniamo a conoscere dettagli tragici della lotta per la conquista e dei mezzi con cui tale conquista è stata mantenuta. Nel descrivere i cinque anni in cui l’Etiopia è stata “governata” dagli italiani, Melandri ci presenta figure storiche come Rodolfo Graziani e Lidio Cipriani. L’incontro di Profeti con questi personaggi consente alla scrittrice alcune digressioni particolarmente riuscite, come quella in cui descrive gli studi pseudoscientifici dell’antropologo Cipriani, basati sulle rilevazioni antropometriche effettuate sui corpi degli africani. Accanto alle figure storiche sono molto convincenti anche i personaggi creati dalla scrittrice, come Attilio Profeta, prototipo di quegli italiani “fortunati” che sopravvissero alla guerra e si costruirono una vita di relativo successo nell’Italia del boom economico, senza mai spendere un momento per interrogarsi sulle responsabilità avute nell’avventura africana. Melandri è molto brava nel creare personaggi sfaccettati, che vivono rapporti ambivalenti e complessi, come la relazione tra Attilio e Abeba, la donna etiope a cui lo lega un sentimento vero, anche se parziale: “A quello che Abeba pensava, sentiva, immaginava non era interessato. La sua era la debolezza paradossale dei dominatori: sanno ben poco dei dominati mentre questi ultimi, anche solo per necessità, sanno tutto di loro.”
La narrazione di Sangue giusto procede alternando capitoli che descrivono il presente (Shimeta bussa alla porta di Ilaria nel 2010, dopo essere partito dall’Etiopia per sfuggire al suo sanguinario regime nel 2008) e capitoli che ricostruiscono il passato attraverso le vicende di Attilio Profeti. E’ interessante sapere che Francesca Melandri è stata spinta alla scrittura del romanzo dalla scoperta della giovinezza del padre, come rivelato dal film documentario Pagine nascoste di Sabrina Varani. Uno dei messaggi del libro è che bisogna trovare il coraggio di cercare le proprie radici, assumendone la responsabilità, come individui e come collettività, come indica la madre a Ilaria invitandola a cercare gli scritti del padre alla Biblioteca nazionale. La verità non è difficile da trovare, basta cercarla.
Come si diceva, gli italiani hanno operato una sistematica rimozione degli eventi, voluta dalle istituzioni e accettata dall’opinione pubblica. La memoria del passato coloniale è stata avvinta dal mito auto-assolutorio degli “Italiani brava gente,” una credenza che ci descrive come colonizzatori tolleranti, generosi, umani. Una credenza che ha preso corpo all’inizio dell’avventura coloniale italiana, per entrare poi stabilmente a far parte dell’immaginario del nostro paese, arricchita, dopo la seconda guerra mondiale, da una componente relativa al comportamento tenuto nei confronti degli ebrei durante l’occupazione nazista. Rispetto ad altri paesi che hanno saputo riflettere criticamente sui propri miti di autogiustificazione, l’Italia si è distinta per la durata della rimozione e l’impermeabilità della pubblica opinione di fronte agli inviti a ripensare il passato. Una ricerca che ha analizzato il mito e i suoi effetti sulle rappresentazioni odierne ha mostrato come esso sia ancora presente e influenzi negativamente le intenzioni di riparare i crimini commessi nelle ex-colonie (Volpato et al., 2012).  Il mito del bravo italiano opera ancor oggi nelle nostre coscienze, condizionando in particolare atteggiamenti e comportamenti nei confronti degli immigrati. Quando, alla fine dello scorso secolo, i flussi migratori hanno investito il nostro paese, l’impreparata società italiana ha reagito facendo ricorso al patrimonio coloniale di immagini e credenze, rispolverando il mito del bravo italiano e coniugandolo con pregiudizi di lunga data, basati sulla presunta superiorità “culturale” del mondo occidentale. Merito dell’opera di Francesca Melandri è contribuire alla decostruzione di questo sapere comune, diffuso, superficiale e sbagliato, e di portare i lettori a riflettere sul legame tra passato e presente.
 
Volpato, C., Andrighetto, L., Mari, S., Gabbiadini, A., & Durante, F. (2012). “Italiani brava gente.” Effetti di un mito storico sulle relazioni sociali contemporanee. In A. Miglietta e S. Gattino (a cura di) Dietro il pregiudizio. Il contributo della psicologia sociale all’analisi di una società multiculturale (pp. 137-150). Napoli: Liguori.