"Se l'è cercata": il victim blaming nei confronti delle vittime di violenza di genere
Che cos’è il victim blaming
Il concetto di victim blaming è stato introdotto nel 1971 dallo studioso William Ryan per indicare la tendenza diffusa ad attribuire alle persone in condizioni di svantaggio economico la responsabilità per la loro indigenza, alimentando il pregiudizio verso le singole persone e sottostimando così le cause strutturali delle diseguaglianze economiche. Circa un decennio più tardi, quando la violenza di genere viene riconosciuta come una questione sociale rilevante, il victim blaming attira l’attenzione delle scienze sociali (per una rassegna si vedano, Penone & Spaccatini, 2019; Spaccatini & Pacilli, 2019). Da un punto di vista psicologico, l’attribuzione di biasimo alle vittime è definibile come un errore di percezione, ossia un giudizio errato formulato da chi percepisce la situazione. La psicologia sociale si è ampiamente interrogata sul modo in cui le persone interpretano il mondo sociale, fornendo prove di come, di fronte alla grande complessità della realtà che ci circonda e all’impossibilità di poter analizzare attentamente ogni stimolo, utilizziamo un pensiero automatico e inconsapevole per formare rapidamente un’impressione su persone o situazioni, che però non sempre è accurato (e.g., Hilbert, 2012; Janoff-Bulman et al., 1985). Questo pensiero porta a formulare un giudizio sulla base delle poche informazioni disponibili e a colmare le lacune conoscitive attraverso le esperienze precedenti, i valori personali e le credenze socialmente diffuse, che diventano, quindi, una lente attraverso cui interpretare il mondo sociale. Questo si può verificare anche quando valutiamo episodi di violenza di genere. Colmiamo così la mancanza di informazioni sfruttando le (false) credenze e gli stereotipi diffusi a livello sociale rispetto alla violenza - come appunto l’associazione tra la sensualità dell’abbigliamento e l’idea che la vittima se la sia cercata - arrivando così a percepire la vittima come responsabile per la vittimizzazione subita (Penone & Spaccatini, 2019). Gli episodi di victim blaming non sono delle eccezioni ma un fenomeno sistemico, quando ci approcciamo alla violenza di genere. Numerosi sono i casi di violenza sessuale in cui i media indugiano e indagano su elementi scollegati dalla responsabilità per la violenza subìta, ad esempio, chiedendosi o chiedendo alle vittime cosa indossassero, se avessero bevuto, se avessero opposto resistenza in modo chiaro ed inequivocabile.
Da due recenti indagini condotte in Italia (Action Aid, 2023; ISTAT, 2019) emerge come più del 20% delle persone intervistate creda che le donne possano provocare una violenza sessuale mostrando un abbigliamento o un comportamento provocante, circa il 15% che le donne che hanno subìto una violenza sotto l’effetto di sostanze, alcoliche o stupefacenti, siano responsabili per quanto accaduto e che tra il 39% (Istat, 2019) e il 78% (Action Aid, 2023) crede che una donna può sottrarsi a un rapporto sessuale se davvero non lo desidera. Il victim blaming oltre ad essere la prima causa della mancata denuncia delle violenze subite, è considerato una delle possibili forme di vittimizzazione secondaria, ossia un’ulteriore vittimizzazione, successiva a quella primaria subìta dall’aggressore, che assume la forma dello screditamento, della mancanza di supporto e dell’attribuzione di colpa da parte di istituzioni, media e persone che circondano la vittima (Ullman, 1996; Vonderhaar & Carmody, 2015).
Perché biasimiamo le vittime: le funzioni del victim blaming
Il victim blaming è stato oggetto di numerosi studi e tra gli aspetti indagati, le ricerche si sono concentrate sulla funzione di rassicurazione e sulla funzione di legittimazione del victim blaming. Entrambe sono funzioni difensive che portano a interpretare in modo strategico l’episodio di violenza anche grazie a sistemi di credenze, come le credenze in un mondo giusto, il sessismo ambivalente e i miti dello stupro, che prenderemo di seguito in esame.
La funzione di rassicurazione del victim blaming
Biasimare le vittime può rassicurare le persone facendole sentire meno vulnerabili rispetto alla possibilità che qualcosa di brutto possa accadere loro. Una delle teorie più utilizzate per studiare il victim blaming è la Teoria del Mondo Giusto (Lerner, 1980). Secondo questa teoria, le persone hanno bisogno di percepire il mondo come un posto giusto e prevedibile, in cui le cose terribili, dolorose e spiacevoli accadono solo a chi se le merita. Il fatto che una persona innocente sia vittima di un episodio violento minaccia queste credenze. Per poter continuare a credere che il mondo sia giusto, le persone operano, inconsapevolmente, una distorsione nell’interpretare la situazione.
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