Mindfulness e regolazione emozionale: teoria ed applicazioni
Tale è la cosiddetta pratica dello switching attenzionale, la capacità cioè di poter spostare a proprio piacimento l’attenzione verso un determinato obiettivo. Un miglioramento delle prestazioni nella sustained attention e nello switching è condizione imprescindibile per lo sviluppo della pratica Mindfulness. Difatti, l’auto-regolazione dell’attenzione incoraggia una considerazione di pensieri e sentimenti non elaborati e non ruminati dalla mente, e implica quindi un’esperienza diretta degli eventi nella mente e nel corpo, visti in maniera distaccata e non giudicante, non essendo essi pervasi di emotività (Teasdale, Segal & Williams, 1995). Colui che pratica meditazione quindi si propone di sperimentare tali pensieri e sentimenti in maniera cruda e neutra: in altre parole, il compito attenzionale provoca un’esperienza diretta di numerosi e diversi eventi nella mente, che pur essendo comunque riconosciuti ed accettati non catturano ed incatenano la stessa mente (Grecucci et al., 2015; Teasdale, Segal & Williams, 1995).
Evidenze a livello neurale del training di meditazione
Da quando la cultura occidentale ha smesso di vedere con pregiudizio la tradizione spirituale orientale, gli scienziati si sono sempre più interessati a verificare come funziona la Mindfulness anche a livello neurale, ricercando quali aree sono più attive delle altre durante il processo meditativo, e quali cambiamenti dell’encefalo comporta la pratica nel lungo periodo.
In linea generale, è stato visto in uno studio di morfometria cerebrale come lo spessore corticale dei meditatori di lungo corso rispetto ai soggetti di controllo fosse più spesso in regioni legate all’elaborazione somatosensoriale, uditiva, visiva ed interocettiva, confermando gli effetti di cambiamento strutturale a livello neurale (Lazar et al., 2005).
È stato scoperto che ad essere direttamente interessate nel processo meditativo sono la corteccia prefrontale mediale dorsale (dmPFC) e la corteccia cingolata anteriore (ACC) in entrambi gli emisferi (Hölzel et al., 2007). Quest’ultima gioca un ruolo primario nella fusione di attenzione, motivazione e controllo motorio (Paus, 2001) ed alcuni studiosi ne hanno proposto una suddivisione funzionale: la regione rostrale si attiva nei compiti con un sovraccarico emozionale, la sezione dorsale invece è attivata da compiti di stampo cognitivo (Bush, Luu, & Posner, 2000).
I meditatori di lungo corso hanno mostrato un’attivazione più accentuata nella ACC rostrale (Hölzel et al., 2007), che suggerisce un effetto importante della meditazione sull’attività della corteccia cingolata anteriore, nello specifico durante un evento particolarmente intenso dal punto di vista emotivo. È stato possibile osservare inoltre che lo spessore corticale nell’ACC dorsale era maggiore nei meditatori di lungo periodo comparati con soggetti di controllo in un’analisi della materia grigia del cervello (Grant et al. 2010); in aggiunta, uno studio ha anche verificato che sono sufficienti solo undici ore di Integrative Body-Mind Training (un trattamento basato anche su meditazione) per notare un incremento dell’integrità della materia bianca nella ACC (Tang et al., 2010; Hölzel et al., 2011). Anche l’insula si è scoperto essere una regione fondamentale che si attiva durante il compito di consapevolezza corporea. Giocando un ruolo primario in diverse funzioni spesso legate alla regolazione dell’omeostasi corporea o all'emotività (quali percezione, controllo motorio, l'auto-consapevolezza, esperienza interpersonale), l’attivazione dell’insula è risultata maggiore negli individui che avevano subito un trattamento di Mindfulness-based Stress Reduction mentre focalizzavano la loro attenzione sull’esperienza corrente (Farb et al., 2007; Hölzel et al., 2011).
In aggiunta, è stata scoperta una concentrazione maggiore di materia grigia nell’insula anteriore destra nei meditatori (Hölzel et al., 2008): sono sufficienti otto settimane di trattamento per incrementare tale raggruppamento nella giunzione parietale-temporale. Per questo motivo, è possibile dedurre che i cambiamenti relativi al lobo insulare potrebbero essere associati proprio ad un aumento della consapevolezza nella propria esperienza con il corpo (Blanke et al., 2005).
Anche l’ippocampo sembra direttamente coinvolto nel processo di meditazione. In uno studio di Luders e colleghi (2013) sono state analizzate le immagini di risonanza magnetica strutturale di 30 meditatori e 30 soggetti di controllo. I risultati hanno mostrato che l’ippocampo destro e soprattutto quello sinistro hanno un volume maggiore nei meditatori di lungo corso: tali incrementi potrebbero essere associati alle maggiori abilità cognitive e mentali derivanti dalla pratica meditativa quali consapevolezza, attenzione e concentrazione.
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