L’Influenza delle Minoranze. Cambiamento Sociale o Preservazione dello Status Quo?
L’influenza sociale – ovvero l’insieme delle modalità attraverso le quali i pensieri, i sentimenti e/o i comportamenti di una persona sono modificati dalla presenza reale o simbolica di un’altra persona o di un gruppo (Mucchi Faina, Pacilli, & Pagliaro, 2012) – rappresenta da sempre un tema centrale per la psicologia sociale, al punto che Allport la riteneva l’unico oggetto di studio di questa disciplina. Nell’immaginario collettivo, l’influenza tende ad avere un’accezione negativa: essere influenzati, in qualche modo, significherebbe essere plagiati, perdere la propria autonomia di pensiero e di giudizio. Ciò nonostante, i processi di influenza sono visibili in ogni ambito della vita quotidiana e, per questo motivo, hanno da sempre rappresentato un terreno fertile per la curiosità degli psicologi sociali.
Agli albori dello studio dei processi di influenza sociale, l’attenzione dei ricercatori è stata prevalentemente focalizzata sulla spiegazione del fenomeno della conformità (vedi glossario) all’interno dei gruppi sociali. Paradigmatici in questo senso sono ad esempio gli studi di Solomon Asch (1951), il quale dimostrò attraverso dei compiti di percezione – nello specifico, decidere quale di tre linee di dimensioni differenti corrispondesse a una linea di riferimento – che le persone preferivano indicare una linea sbagliata (sapendo di farlo!) se questa era la risposta data ad alta voce dagli altri partecipanti, i quali in realtà erano dei collaboratori dello sperimentatore. Le interviste con i partecipanti alla fine dell’esperimento mettevano in luce, tra le altre, una motivazione fondamentale alla base della decisione di conformarsi agli altri: il desiderio di non apparire diversi, che spingeva dunque le persone a modificare la propria risposta senza preoccuparsi di essere o meno nel giusto, anche se a questa accettazione pubblica della posizione della maggioranza non corrispondeva nella gran parte dei casi un cambiamento privato e duraturo dell’opinione dei partecipanti. A partire dallo studio pionieristico di Asch, un’ampia letteratura ha poi approfondito le condizioni nelle quali la maggioranza ottiene il suo effetto sull’individuo (per una rassegna, Mucchi Faina et al., 2012). Ciò nonostante, questo approccio allo studio dell’influenza sociale aveva un punto critico di fondamentale importanza: se infatti studiare i processi di influenza focalizzandosi sulla conformità consentiva ai ricercatori di comprendere le condizioni nelle quali le maggioranze riuscivano ad omologare il singolo individuo consentendo il mantenimento dello status quo, come spiegare il cambiamento sociale? Come spiegare, in altre parole, quei processi storici di sovvertimento dello status quo – si pensi ad esempio al movimento femminista (Figura 1), al movimento degli afro-americani, ai pittori impressionisti, e così via – nei quali riescono ad affermarsi posizioni contrastanti con quelle di mainstream? L’intuizione di Serge Moscovici chiamava in causa la necessità di prendere in considerazione un’altra potenziale fonte di influenza: quella rappresentata dalle minoranze attive.
Le Minoranze come Fonti di Influenza
In un celebre film diretto da William Friedkin (in realtà un remake dell’omonimo film diretto nel 1957 da Sidney Lumet),“La parola ai giurati” (1997), 12 giurati sono chiamati a deliberare all’unanimità su un caso di omicidio che vede come imputato un ragazzo di colore, accusato di aver ucciso il padre. Nonostante il caso sembri scontato, tanto che alla prima votazione undici giudici votano per la condanna a morte del ragazzo, uno dei giurati vota per la non colpevolezza, spingendo il resto della giuria a reazioni addirittura rabbiose. Ciò nonostante, il giurato dissidente chiede con tenacia e costanza nelle ore di consiglio che seguono un continuo riesame delle prove, favorendo in questo modo un’analisi più attenta di queste ultime da parte dei giudici i quali, con il passare del tempo, giungono a confutare le ipotesi di colpevolezza e a un giudizio di innocenza. Esempio calzante dei processi scatenati e degli esiti ottenuti dalle minoranze attiva, il comportamento del giudice dissidente si caratterizza per due elementi divenuti centrali nella teorizzazione di Moscovici: (a) la rottura del consenso, con la conseguente apertura di un conflitto con la posizione maggioritaria e (b) uno stile di comportamento caratterizzato da fermezza e coerenza, che consente alle minoranze di essere viste come portatrici di un’idea alternativa valida e compatta (Figura 2).
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