Le determinanti psicosociali dell’azione collettiva: Il modello SIMCA

L’attuale periodo storico è caratterizzato da un crescente numero di persone insoddisfatte dello status quo vigente e desiderose di cambiamenti a livello sociale, economico e politico. Si pensi, ad esempio, agli eventi organizzati recentemente in occasione dei “Fridays for Future”, ai quali persone provenienti da oltre 180 città italiane hanno aderito per chiedere alla politica di mobilitarsi per l’ambiente. Spesso, le persone che decidono di mobilitarsi si uniscono in azioni collettive che prendono la forma di dimostrazioni e petizioni, ma anche di occupazioni e manifestazioni non autorizzate. Di fronte allo stesso status quo, tuttavia, non tutte le persone sono disposte a mobilitarsi. Se alcuni rispondono in maniera attiva e decidono di agire per ottenere il cambiamento che desiderano, altri reagiscono passivamente e preferiscono non partecipare. Cosa guida la decisione e il comportamento di queste persone? Quali sono le determinanti dell’azione collettiva? La psicologia sociale può offrire il proprio contributo per rispondere a tali domande.

Gli psicologi sociali definiscono “azione collettiva” un’azione promossa da un gruppo di persone in risposta ad una situazione di ingiustizia e/o svantaggio reale o percepita (Toch, 1965; Wright, Taylor, & Moghaddam, 1990). Secondo van Zomeren (2013), un’azione può essere definita “collettiva” quando le persone agiscono in qualità di membri di un gruppo con l’obiettivo di risolvere o almeno migliorare situazioni sfavorevoli proprie o altrui. Inoltre, l’azione collettiva non implica solo e necessariamente la partecipazione delle persone in dimostrazioni e/o proteste pubbliche – un singolo individuo possiede gli strumenti per agire collettivamente durante la propria vita quotidiana come, ad esempio, la firma di petizioni (van Zomeren, 2013).

Nel corso degli anni, numerosi sforzi sono stati compiuti per comprendere i fattori che motivano le persone ad agire collettivamente. A tal riguardo, alcuni approcci sostengono che le persone agiscono collettivamente in risposta ad uno stato oggettivo di svantaggio (Hovland & Sears, 1940). Dunque, l’origine dell’azione collettiva viene identificata in specifiche condizioni socio-strutturali che provocano disparità e ineguaglianza tra gruppi sociali. Più di recente, invece, altri approcci hanno focalizzato l’attenzione su cause di tipo soggettivo (Corcoran, Pettinicchio, & Young, 2011). Nonostante le condizioni socio-strutturali sono importanti, tali approcci assumono che l’azione collettiva viene principalmente determinata da fattori motivazionali sociali e psicologici (vedi ad esempio, van Zomeren & Iyer, 2009; van Zomeren, Postmes, & Spears, 2008; van Zomeren, Postmes, Spears, & Bettache, 2011; Wright, 2009).

Di seguito, verrà descritto il Modello dell’Identità Sociale dell’Azione Collettiva (SIMCA; van Zomeren et al., 2008, 2011), il quale evidenzia quattro fattori motivazionali sociopsicologici principali: l’identità sociale, la rabbia, l’efficacia di gruppo e le convinzioni morali. 

 

L’identità sociale

Il modello dell’identità sociale dell’azione collettiva (SIMCA; van Zomeren et al., 2008, 2011) propone che un ruolo centrale per la partecipazione all’azione collettiva è posseduto dall’identità sociale. Nello specifico, tale modello assume che le persone agiscono collettivamente contro una situazione di ingiustizia nella misura in cui si identificano con il gruppo svantaggiato.

L’identità sociale fa riferimento all’identificazione con un gruppo e al grado in cui le persone si percepiscono in termini collettivi (Tajfel, 1978; Tajfel & Turner, 1979; Turner, Hogg, Oakes, Reicher, & Wetherell, 1987). Come esempio, basta pensare ai gruppi ai quali le persone sentono di appartenere quotidianamente sul posto di lavoro, in famiglia o con gli amici. È stato ampiamente dimostrato che riconoscersi come “noi” piuttosto che come “io” aumenta la tendenza delle persone a proteggere gli interessi del gruppo, a raggiungere i suoi obiettivi e a rispettare le sue norme (ad esempio, Doosje, Spears, & Ellemers, 2002; Ellemers, Spears, & Doosje, 1999; van Zomeren, Spears, & Leach, 2008). È evidente, dunque, l’influenza che l’identità sociale esercita sull’azione collettiva – tanto più alta è l’identificazione con il gruppo svantaggiato, tanto maggiori sono le intenzioni di azione collettiva contro lo svantaggio esistente. Le strategie di azione collettiva messe in atto, infatti, sono rappresentative dell’intero gruppo con cui le persone si identificano e sono volte a migliorare la condizione non esclusivamente di un singolo individuo, ma del gruppo svantaggiato nel suo complesso (Simon, Loewy, Stürmer, Weber, Freytag, Habig, et al., 1998; Wright et al., 1990). Come hanno dichiarato Thomas, Mavor e McGarty (2011): “è più probabile che le persone agiscano se condividono una relazione categorica con coloro che hanno bisogno di aiuto” (p. 197).

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