La mente viscerale. Come cuore e stomaco contribuiscono ai processi cerebrali
Quando ci si innamora si dice di avere le “farfalle nello stomaco”, quando proviamo una forte paura diciamo di “avere il cuore in gola”. Nell’immaginario comune, i processi mentali e quelli corporei sono intimamente legati. Anche illustri filosofi si sono interrogati sull’importanza del corpo per la nostra vita mentale, formulando l’ormai noto esperimento mentale detto del “cervello in una vasca” (Dennett & Hofstadter, 1985; Putnam, 1981). Immaginate che uno scienziato pazzo rimuova il cervello dal vostro corpo e lo colleghi a un computer che simuli tutti gli input che il vostro cervello riceve normalmente attraverso l’interazione del vostro corpo con il mondo. Notereste la differenza tra l’esperienza prodotta dall’interazione con il mondo reale e quella prodotta da un sofisticato programma digitale? In altre parole, che ruolo hanno i segnali corporei nella nostra esperienza cosciente?
Lo psicologo americano William James fu tra i primi autori a teorizzare l’importanza che i segnali provenienti dal nostro corpo hanno per i nostri processi mentali, in particolar modo per le emozioni (James, 1890). Per James, la paura che provo dopo aver visto un'ombra muoversi nel buio deriva dalla concettualizzazione di un segnale corporeo: il mio cuore che batte all’impazzata. Benché altre teorie abbiano rifiutato (Cannon, 1927), o mitigato (Pezzulo, 2014; Seth, 2013), l’idea che l’esperienza emotiva derivi solamente dall’interpretazione dei segnali corporei, la riflessione di James ha posto le basi per lo studio scientifico dell’interazione tra segnali corporei e processi mentali. Ma in che modo i segnali corporei contribuiscono ai processi mentali? E di quali segnali corporei stiamo parlando?
I segnali viscerali
In questo articolo mi concentrerò sui segnali viscerali, cioè sulle informazioni provenienti dal cuore e dal tratto gastro-intestinale. Questi organi si contraggono in maniera ritmica (il cuore ogni 800 millisecondi, lo stomaco ogni 20 secondi) grazie a impulsi elettrici generati da cellule che si trovano sulle loro pareti. Per rendersi conto della generazione endogena di questo ritmo è sufficiente sapere che quando il cuore è asportato dalla cassa toracica, e quindi disconnesso dal cervello, continua a battere autonomamente per qualche tempo (5-10 minuti). Questa caratteristica distingue cuore e stomaco dall’attività ritmica di altri organi, per esempio i polmoni, che necessitano di impulsi elettrici inviati dal cervello per mettersi in moto.
Benché autonoma, l’attività pulsatile di cuore e stomaco è costantemente monitorata dal cervello, che è dunque informato del ritmo delle contrazioni e della loro intensità. Questo continuo controllo permette di regolarne l’attività per mantenere un equilibrio biologico, attraverso processi omeostatici, o per rispondere a nuovi i bisogni dell’organismo, attraverso dei processi allostatici. Data l’importanza capitale dei segnali viscerali per la sopravvivenza dell’organismo, la loro comunicazione con il cervello è mantenuta anche quando quella che riguarda altri segnali corporei è interrotta a causa di condizioni patologiche. Per esempio, i segnali viscerali continuano ad arrivare al cervello dei pazienti locked-in, persone coscienti ma completamente paralizzate. Al contrario, il cervello di questi pazienti non riceve nessun segnale propriocettivo, cioè quei segnali provenienti da muscoli e articolazioni che permettono di conoscere la posizione del nostro corpo nello spazio. Questo conferisce ai segnali viscerali una certa unicità rispetto ad altri segnali corporei.
Tuttavia, al di là dell’importanza che i segnali viscerali hanno per la regolazione dei processi fisiologici di cuore e stomaco, delle scoperte recenti hanno messo in luce come le informazioni viscerali contribuiscano a diversi processi cognitivi e meccanismi cerebrali.
L’informazione cardiaca come segnale di allerta
Uno degli approcci usati per studiare il ruolo dei segnali cardiaci nei processi cognitivi è quello di sfruttarne la ciclicità. Il ciclo cardiaco è infatti composto da due fasi: la diastole e la sistole. Durante la diastole, il cuore si rilassa e si riempie di sangue; durante la sistole, i ventricoli si contraggono e spingono il sangue carico di ossigeno nelle arterie. In questa seconda fase, degli speciali neuroni (barorecettori) posti sulle pareti del cuore e delle arterie rilevano la distensione dei tessuti dovuta al passaggio del sangue e inviano a varie strutture cerebrali, attraverso impulsi elettrici chiamati potenziali d’azione, delle informazioni sul ritmo e sulla sua intensità della contrazione cardiaca. Per scoprire se l’informazione cardiaca ha un effetto sui processi cognitivi è dunque possibile contrastare il modo in cui i processi cognitivi si svolgono quando l’informazione cardiaca giunge al cervello (durante la sistole) o quando ancora non è presente (durante la diastole).
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