Falchi o colombe? Fiducia e cooperazione nei processi decisionali inclusivi

Fidarsi dei gruppi

I processi decisionali inclusivi interpellano la cittadinanza su un tema/problema in una duplice forma: come singoli individui, membri di una comunità, e come portatori d’interesse (stakeholder): imprenditori, attivisti, operatori professionali, eccetera. In questa seconda veste, le persone esprimono una posizione che è personale ma che è allo stesso tempo rappresentativa della categoria cui appartengono: un imprenditore parla a nome proprio, ma anche come esponente della categoria degli imprenditori. Questa condizione influisce sulla dinamica fiduciaria. Bisogna, infatti, considerare che l’identità sociale che deriva dal fatto che un individuo si percepisce come membro di una certa categoria (gli imprenditori, per continuare con questo esempio), fa sì che egli/ella entri in relazione con l’altro in una modalità diversa di quella che contraddistingue il rapporto tra due individui in cui è l’identità personale ad essere saliente. Quest’assunto, che in psicologia sociale è stato avanzato dalla Teoria dell’Identità Sociale (Tajfel & Turner, 1979; 1986) e dalla Teoria della Categorizzazione del Sé (Turner, Hogg, Oakes, Reicher, & Wetherell, 1987) e che innumerevoli studi empirici hanno confermato, indica che c’è una discontinuità tra il livello della relazione interpersonale e il livello della relazione intergruppi: infatti, nel momento in cui il nostro imprenditore (Paolo) si rapporta ad un altro stakeholder, per esempio un operatore sociale (Giovanni), in quanto imprenditore, il confronto che si instaura non è più quello tra Paolo e Giovanni (io-tu), ma tra due gruppi o categorie sociali: gli imprenditori e gli operatori sociali (noi-voi). Questo salto nei livelli di funzionamento del sociale si riflette nella dinamica della fiducia. Numerosi studi, condotti in vari ambiti – pregiudizio e relazioni interetniche, cooperazione e conflitto – ispirati dalla Teoria dei giochi o dalla Teoria dell’Identità Sociale, mostrano chiaramente che le relazioni intergruppi sono significativamente più competitive e meno cooperative delle relazioni interpersonali. In sostanza, ci si fida di meno degli altri se gli altri sono categorizzati come membri di un gruppo diverso dal proprio. E questo comportamento si riscontra anche quando le persone interagiscono con altri come rappresentanti di un gruppo (Song, 2009). Maggiore competitività e minor fiducia possono verificarsi non solo in una situazione d’interdipendenza negativa – quando cioè un gruppo rappresenta per l’altro una minaccia simbolica o reale – ma anche in situazioni d’interdipendenza positiva, ossia quando i gruppi sono costretti a cooperare per raggiungere un obiettivo comune; può, infatti, accadere che,  mancando una base fiduciaria basata su un’identità comune ai diversi gruppi, anche l’interdipendenza positiva possa generare ostilità e conflitto (Brewer, 1999). L’importanza dei processi di categorizzazione sociale appare in tutta la sua evidenza nei dilemmi sociali che implicano molteplici livelli di conflitto e molteplici appartenenze categoriali (sé, gruppo, comunità), in cui cioè entrano in gioco gli interessi individuali, gli interessi di specifici gruppi e l’interesse collettivo. In pratica, nelle relazioni che vanno oltre il livello interpersonale, la fiducia fa più fatica a stabilirsi, e questo fa sì che le probabilità di cooperare diminuiscano.

Conclusioni

In una situazione sociale come quella rappresentata da un setting partecipativo istituzionalizzato, in cui l'individuo entra in contatto con altri sconosciuti, il passaggio dalla relazione uno-a-uno alla relazione uno-a-molti fa i conti con una fisiologica resistenza alla cooperazione. E tuttavia, quando il gruppo e il suo obiettivo si definiscono, scatta un’interdipendenza legata al compito, e l'incertezza che caratterizza la situazione favorisce l'emergere di una fiducia rapida. Non tutti, evidentemente, si fidano degli altri nella stessa misura, e non tutti sono, per loro natura, disponibili a cooperare: anche alcune dimensioni di personalità giocano un ruolo nei processi di decisione collettiva, contrapponendo falchi (tipi proself) e colombe (tipi prosocial) (Van Lange, 1999). Come elemento di sfondo all'azione degli attori, ma in grado di influenzare i loro comportamenti, sta la relazione che lega cittadini e istituzioni: esperienze e conoscenze pregresse, percezione di affidabilità e competenza, determinano l'atteggiamento di base con cui gli attori entrano nei processi decisionali inclusivi. Anche per questa diade composta da entità collettive (le istituzioni, la cittadinanza), vale la generale, se pur non infallibile, regola di reciprocità che governa le relazioni interpersonali: la disponibilità tende a essere ricambiata con la disponibilità, l'egoismo con l'egoismo. Infine, ci sono altre entità collettive che entrano in gioco nei contesti decisionali: sono i gruppi di riferimento dei partecipanti, che fanno sì che la relazione tra di essi possa spostarsi sul livello intergruppi, rendendo la dinamica fiduciaria meno fluida.

E' certo, tuttavia, che per trovare soluzioni ai dilemmi sociali e ai problemi che affliggono le comunità, anzi per preservare l'orizzonte di senso comune che è alla base della convivenza e fa da collante sociale, le colombe sono più utili dei falchi. Abbiamo bisogno di fidarci.

 

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