Essere persone childfree è una scelta che fa rumore: tra motivazioni personali e percezione sociale
Infine, è importante sottolineare che, a differenza del luogo comune secondo il quale la scelta di rimanere senza figli/e sia frutto di una decisione estemporanea e non ponderata, le ricerche mettono in evidenza il contrario (Ciaccio, 2006; Doyle, 2012; Gillespie, 2003; Graham et al., 2013; Peterson & Engwall, 2013). Nella maggior parte dei casi, la scelta di essere childfree è conseguenza di una riflessione profonda della persona sulle proprie esigenze e sui propri bisogni, così come testimoniato da una delle donne intervistate nello studio di Blackstone e Stewart (2016): “per arrivare qui tutti noi [persone childfree] abbiamo preso delle decisioni consapevoli. Per arrivare dove siamo e per continuare a mantenere la nostra scelta [di rimanere senza figli] ci sono voluti un costante lavoro e determinazione. […] Noi scegliamo ogni giorno di rimanere senza figli/e” (p.4).
Gli atteggiamenti verso le donne e gli uomini childfree
Dagli anni ‘70 la psicologia sociale ha iniziato a interessarsi al tema delle persone childfree esplorando, in particolare, gli atteggiamenti che gli altri hanno nei loro confronti (Agrillo & Nelini, 2008). Dai primi studi è emerso che donne e uomini che non hanno figli/e vengono considerati più negativamente rispetto a chi ne ha (Callan, 1985; Jamison, Franzini, & Kaplan, 1979; Polit, 1978). Infatti, le persone childfree vengono percepite, da una parte, come meno equilibrate psicologicamente ed emotivamente (Polit, 1978; Jamison et al., 1979), meno desiderabili da un punto di vista sociale (Polit, 1978), meno sensibili e amorevoli (Polit, 1978; Jamison et al., 1979) e, dall’altra, più egoiste, materialiste, individualiste e orientate alla carriera (Callan, 1985) rispetto a chi ha figli/e.
Sebbene alcune evidenze recenti abbiano suggerito che gli atteggiamenti nei confronti delle persone childfree siano migliorati nel tempo (Gubernskaya, 2010; Merz & Liefbroer, 2012; Noordhuizen, DeGraaf, & Sieben, 2010), la percezione negativa su tale categoria sembra persistere ancora oggi. Le ricerche condotte dai primi anni duemila, infatti, hanno mostrato che scegliere di non avere figli/e continua a essere una discriminante nel modo in cui vengono percepite le persone, soprattutto le donne (Ashburn-Nardo, 2017; Rowlands & Lee, 2006; Vinson, Mollen, & Smith, 2010). Uno studio di Koropeckyj-Cox, Çopur, Romano e Cody-Rydzewski (2018) ha recentemente confermato questa tendenza, dimostrando che le madri e i padri sono ancora percepite/i come più gentili, premurose/i e dotate/i di maggior calore interpersonale rispetto alle/gli adulte/i senza figli/e, in modo particolare rispetto alle donne che non aspirano a diventare madri. Le donne childfree, infatti, sono ancora considerate meno femminili, felici, capaci di dare cura e affetto rispetto a chi ha figli/e o ne vorrebbe (Park, 2002; Kopper & Smith, 2001; Rowlands & Lee, 2006).
Data la possibilità che le persone bersaglio di svalutazione e discredito vengano considerate anche “meno umane” (Dovidio, Major, & Crocker, 2000; Goffman, 1963), di recente Cho, Whitaker, Chu e Ashburn-Nardo (2017) hanno indagato attraverso due studi il legame tra atteggiamenti negativi verso le donne childfree e la loro deumanizzazione. Dalla prima ricerca, è emerso che le persone con un atteggiamento più sfavorevole nei confronti delle donne childfree hanno una percezione delle stesse come “meno umane”, cioè meno dotate di caratteristiche come l’auto-controllo, la razionalità, il calore e l’emotività. Inoltre, dal secondo studio è emerso che donne e uomini childfree vengono spesso infraumanizzate/i, cioè considerate/i meno capaci rispetto a chi ha figli/e di provare emozioni secondarie, come orgoglio o vergogna, ritenute qualità unicamente umane.
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