Teorie del complotto. Cosa può dirci la psicologia?

Cosa sono le credenze complottiste?

Il COVID-19 è una strategia per tenere la popolazione sotto controllo. L’uomo non è mai stato sulla Luna. La Terra è piatta. I vaccini causano l’autismo. Queste sono solo alcune delle numerose teorie del complotto che chiunque può facilmente incontrare entrando nel vasto mondo online, costituito oramai non solo da siti Web, ma anche da blog, forum e social media dove chiunque ha modo di pubblicare contenuti, esprimere opinioni e diffondere (anche false) informazioni. Tali teorie sono tutte accumunate da alcune caratteristiche: innanzitutto, le teorie del complotto prevedono che ad attuare il piano sia un gruppo di persone; in secondo luogo, il piano che viene messo in atto è segreto e consapevolmente dannoso per coloro a cui è tenuto nascosto (Zonis & Joseph, 1994). Ritenere quindi che ci siano alcune industrie che, con il fine di ottenere i propri guadagni, inquinino e danneggino il pianeta, non rappresenta una teoria del complotto, in quanto il piano non sarebbe segreto. Infine, quasi tutte le teorie del complotto vedono come protagonisti gruppi a cui si attribuisce potere, siano essi gruppi politici, élite economiche o industrie farmaceutiche.

Per quanto possa sembrare che le teorie del complotto siano un prodotto di Internet e dei tempi moderni risulta invece che le più varie teorie del complotto siano state diffuse in epoche e luoghi anche molto lontani e diversi, per esempio, nella Roma Imperiale non erano rare le teorie del complotto che riguardavano principalmente donne e schiavi (Pagán, 2008). All’inizio del 1900 si è inoltre diffusa la Teoria del Complotto Giudaico, successivamente utilizzata anche come carburante della propaganda nazista (Herf, 2005). I tempi cambiano e le tecniche e i mezzi di comunicazione sono diversi, eppure le spiegazioni complottiste riescono sempre a far breccia. Basti pensare alle contemporanee teorie riguardanti il Covid-19.

Dato che, storicamente, diversi complotti sono realmente avvenuti (si pensi all’assassinio di Giulio Cesare), si potrebbe ritenere che le credenze complottiste siano un riflesso preciso della realtà: le persone credono nei complotti perché questi ultimi sono effettivamente presenti e diffusi nel mondo. Tuttavia alcune evidenze empiriche e logiche ci portano a negare tale ipotesi. Per esempio, Knight (2003) ha constatato che il numero di teorie del complotto esistenti sia estremamente elevato e vi sono teorie del complotto concorrenti ed in contraddizione anche nello spiegare lo stesso evento. Negli Stati Uniti è estremamente diffusa la credenza che ci sia stato un complotto alla base dell’omicidio di Kennedy, tuttavia è stato stimato che circa 40 gruppi diversi siano stati accusati di essere i responsabili del complotto. Dato un numero così elevato di teorie in contraddizione, la diretta conseguenza è che anche assumendo che una di queste sia vera, la maggior parte delle teorie del complotto sia comunque falsa. In generale, da un punto di vista storico è estremamente raro che una teoria del complotto si riveli corretta (Popper, 1945). In altre parole, le credenze complottiste non riflettono un’accurata fotografia della realtà, bensì riguardano il modo in cui le persone si interfacciano alla realtà e vi attribuiscono significato.

 

Evoluzione e credenze complottiste

Un recente approccio evoluzionista (van Prooijen & Van Vugt, 2018; vedi glossario) ha teorizzato come la propensione alle credenze complottiste sia il risultato di due potenziali processi di selezione naturale. In base al primo processo, la propensione verso le credenze complottiste non è altro che un sottoprodotto di altri meccanismi psicologici che si sono sviluppati nel corso della storia della nostra specie, perché comportavano un vantaggio evolutivo. In effetti, l’evoluzione ha fornito agli esseri umani enormi capacità di ragionamento, pensiero e comunicazione. In particolare, ci sono alcuni processi cognitivi che possono avere dato origine, come “effetto collaterale”, alla tendenza universale nel credere nei complotti. Tra questi vi sono la capacità di individuare (o creare) dei pattern (Mattson, 2014, vedi glossario), di riconoscere e attribuire agentività (Baron-Cohen, 1997, vedi glossario) e di gestire le minacce (Neuberg, Kenrick, & Schaller, 2011). Tutti questi processi si sono rivelati estremamente utili per la sopravvivenza della specie umana; si pensi ai primi esseri umani, impegnati a sopravvivere in un ambiente decisamente più ostile rispetto a quello a cui siamo ormai abituati. Stabilire che una persona fosse morta perché aggredita (riconoscimento di pattern), riconoscere che l’aggressione è stata dovuta alla messa in atto di un piano ideato da gruppi nemici (attribuzione di agency) e reagire in modo da massimizzare la propria sicurezza (gestione della minaccia), sono solo alcuni esempi di situazioni in cui i processi cognitivi umani hanno facilitato la sopravvivenza della specie. Secondo questa ottica, le credenze complottiste non hanno una propria utilità adattiva, ma sono il prodotto secondario di altre funzioni adattive.

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