Essere persone childfree è una scelta che fa rumore: tra motivazioni personali e percezione sociale
Sebbene a oggi il numero di donne e uomini senza figli/e sia ancora inferiore rispetto al numero di chi ne ha, studi recenti hanno dimostrato che il dato è in crescita in molti paesi. Ciò è vero negli Stati Uniti (Livingston & Cohn, 2010), come in Cina, in Giappone e in Europa (CBS/AP, 2014). In Italia, ad esempio, a fine storia riproduttiva, la percentuale delle donne senza figli/e nate nel 1978 è raddoppiata (22,5%) rispetto a quella delle nate nel 1950 (11,1%) (ISTAT, 2018). Nonostante il numero di ricerche sulle persone senza figli/e sia sempre maggiore, va sottolineato come spesso sia difficile distinguere i dati relativi a coloro che, malgrado la loro volontà, non li hanno potuti avere (childless o involuntary childless), da quelli riferiti a coloro che, invece, hanno scelto volontariamente e consapevolmente di non averne (childfree; Blackstone & Stewart, 2016; DeLyser, 2012; Harrington, 2019; Martinez, Daniels, & Chandra, 2012). Tuttavia, indagini recenti hanno focalizzato l’attenzione proprio su chi sceglie di non avere figli/e mostrando che, negli Stati Uniti, la percentuale raggiunge il 6% della popolazione femminile in età fertile (Martinez et al., 2012; Newport & Wilke, 2013), mentre in Europa l’11% della popolazione complessiva e, in Italia, il 4% delle donne e il 9% degli uomini (Miettinen & Szalma, 2014).
L’aumento, negli ultimi decenni, di persone che dichiarano di essere childfree ha portato a una crescita degli studi sul tema che hanno approfondito, tra le altre cose, le caratteristiche socio-demografiche delle persone che scelgono di non avere figli/e, le motivazioni alla base della loro decisione e, ancora, gli atteggiamenti negativi a loro rivolti.
Le motivazioni dietro la scelta di essere persone childfree
Studi recenti hanno tentato di individuare le caratteristiche socio-demografiche di coloro - soprattutto donne - che hanno deciso di non avere figli/e ed è emerso che le donne childfree hanno generalmente un livello d’istruzione elevato (Martinez et al., 2012), sono orientate alla carriera (Abma & Martinez, 2006; Majumdar, 2004), risiedono in aree urbane (DeOllos & Kapinus, 2002), provengono da nuclei familiari ristretti (Tanturri & Mencarini, 2008) e hanno una visione poco tradizionalista dei ruoli di genere (Park, 2005; Shapiro, 2014).
Tuttavia, a fronte di alcuni aspetti in comune, spesso le persone che scelgono di non avere figli/e lo fanno per motivazioni molto diverse tra loro e che possono essere influenzate dalla cultura di appartenenza, dai bisogni, dalle esperienze di vita o, ancora, dalla personale visione del mondo (Seccombe, 1991). I primi studi condotti negli anni ‘80 hanno fatto emergere che la decisione di rimanere senza figli/e può essere legata alla volontà di autorealizzazione, anche lavorativa (Houseknecht, 1987; Veevers, 1980), alla necessità di mantenere il controllo sul proprio futuro e sulla propria vita, oppure, all’intenzione di evitare i costi che comporta avere un/a figlio/a e di non ricoprire un ruolo percepito come troppo gravoso e impattante anche sull’armonia coniugale (Campbell, 1983; Houseknecht, 1987).
Tali aspetti sono emersi anche più recentemente: a fianco di un desiderio di autonomia e indipendenza individuale e di coppia (Blackstone & Stewart, 2012; Ciaccio, 2006; Gillespie, 2003; Mencarini & Tanturri, 2006), infatti, gli studi hanno mostrato che tale scelta può essere influenzata dalle preoccupazioni per le difficoltà che la gravidanza e la maternità possono comportare (Hird & Abshoff, 2000), dall’apprensione per la salute propria e dei/lle nascituri/e (Ciaccio, 2006; Mencarini & Tanturri, 2006), dall’instabilità delle relazioni sentimentali (Mencarini & Tanturri, 2006) e, ancora, dal sovrappopolamento della Terra (Ciaccio, 2006).
Oltre a queste motivazioni, alla base della scelta di essere persone childfree vi è anche la mancanza di desiderio di avere figli/e. Alcuni studi hanno evidenziato che molte donne childfree rifiutano l’idea secondo cui l’età adulta debba necessariamente includere la generatività e mettono in discussione l’esistenza dell’istinto materno, inteso come la concezione stereotipica che vede nella maternità un elemento biologico predeterminato e imprescindibile (Carmichael & Whittaker, 2007; Peterson & Engwall, 2013; Settle & Brumley, 2014).
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