Due papà, due mamme. Quali riflessioni per sfatare i pregiudizi verso le famiglie e le genitorialità omosessuali?
Su un ulteriore piano della riflessione, ancora oggi in alcuni ambiti della ricerca nazionale ed internazionale si intende verificare la funzionalità della genitorialità omosessuale nell’ottica dei processi evolutivi dei figli/delle figlie, come se fosse ancora necessario indagare tale aspetto. La vera questione è, in realtà, interrogarsi su come e cosa fare per garantire e proteggere quei/quelle minori che ancora vivono nella terra di mezzo del non riconoscimento della loro appartenenza familiare e dell’assenza di tutele. E’ su questi fondamenti che si dovrebbe ripensare e reimpostate la questione relativa alla garanzia del bene dei minori. Un bene negato da quel vuoto normativo in materia di famiglia omogenitoriale; vuoto che peraltro ci si ostina non colmare, sulla base della continua riproposizione di atteggiamenti di forte opposizione nei confronti della legittimazione giuridico-sociale della famiglia omogenitoriale. Un vuoto che crea individualità e contesti relazionali “apolidi”, privi di cittadinanza, di rappresentanza; una privazione che è di fatto il chiaro segno di gravi, reiterate e pervicaci forme di violenza istituzionale.
Finché il diritto non cambierà, le culture e le società non cambieranno. I processi di trasformazione socio-culturale si definiscono in quella zona di osmosi e di intersezione continua e dinamica tra macro-sistemi (cultura, diritto, leggi, ideologia, etc.) e micro-sistemi (relazione intersoggettiva, interazioni concrete e tangibili tra gli individui; credenze individuale, sistemi sociali fatti di persone in carne ed ossa come soggetti attivi e portatori di doveri, diritti, istanze, desideri, etc.). Finché non ci sarà un concreto cambiamento di paradigmi di interpretazione e lettura della realtà familiare/genitoriale, la violenza istituzionale di tipo omofobico continuerà a configurarsi come lo strumento principe per l’attivazione di processi di reificazione, riproduzione, mantenimento, riproposizione, rafforzamento e potenziamento del modello eteronormativo e degli stereotipi e modelli culturali eterosessisti.
E’ necessario, come più volte abbiamo evidenziato, acquisire criteri interpretativi in grado di leggere la realtà secondo logiche di accoglienza, rispetto, negoziazione. Ecco cosa implica il riferimento a modelli che possiamo definire pluralisti ed inclusivi.
Assumere un modello pluralista vuol dire sostenere che le varie tipologie di famiglia possono organizzare le loro dinamiche interne secondo modalità che possono essere simili, oppure alquanto differenti, ma non per questo disturbate o disfunzionali, dal momento che l'eventuale diversità non riguarda la qualità delle dinamiche o la sostanza dei processi, bensì le procedure e i modi attraverso cui essi si realizzano.
Assumere un modello pluralista significa riconoscere che la funzionalità o disfunzionalità delle famiglie non dipende dalla struttura (eterosessuale o omosessuale, ma anche nucleare o allargata, intatta o ricomposta, etc.) ma dalla qualità dei legami e dei rapporti che in esse prendono forma. Viene pertanto spostato l’asse della valutazione del funzionamento familiare/genitoriale dal piano delle caratteristiche strutturali/morfologiche, al versante dei processi interattivi e relazionali interni alle strutture stesse. Rispetto a questo specifico ambito, la ricerca psicologica ha messo in evidenza che i/le figli/e che crescono in famiglie con genitori conviventi, separati, risposati, single o omosessuali, non corrono più rischi di sviluppare dei problemi di quanti ne corrano quelli/e che crescono in famiglie con genitori sposati e eterosessuali. Si tratta di modi diversi di organizzare i rapporti primari, ognuno dei quali ha proprie caratteristiche specifiche, ma tutti potenzialmente in grado di provvedere alle funzioni familiari e genitoriali. Rispetto a tali funzioni, nessuna forma familiare è di per sé più garantita di altre.
Assumere un modello pluralista ha come effetto diretto la revisione di impostazioni pregiudizievoli nei confronti delle famiglie omogenitoriali che si fondano su posizioni che è possibile definire, in termini categoriali, come:
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