Da In-Mind International: a che punto è il giornalismo scientifico in psicologia?

Man mano che ci addentriamo nel 21° secolo, la scienza psicologica si avvicina a un bivio. Stiamo maturando come disciplina, ma con qualche area di sofferenza sempre più forte. Le fondamentali e più recenti scoperte degli scienziati cognitivi, comportamentali e sociali destano impressione nella comunità accademica, e continuano a dimostrare che vale la pena studiare ancora la mente umana. Allo stesso tempo, i nostri litigi sulle metodologie di ricerca più adeguate e le norme sulla pubblicazione dei lavori (tra le altre cose) aprono la strada a innovazioni che potrebbero diventare il modello per le pratiche scientifiche di un gran numero di discipline. Per quanto qualcuno possa storcere il naso, è effettivamente un momento molto intrigante per essere psicologi. E In-Mind vi viene incontro raccontandovi questi sviluppi.

Ma mentre tutti questi sviluppi e dibattiti si susseguono, molti nostri colleghi (e io con loro) si chiedono quale impatto positivo possiamo sperare di avere sulla comunità non-accademica? Cosa possiamo fare per assicurarci che il pubblico (cioè coloro che in parte finanziano i nostri stipendi e progetti attraverso i soldi delle loro tasse) possa beneficiare della nostra ricerca? Un aspetto direi filosofico che spesso discuto con i miei colleghi all’inizio della loro carriera è che cosa ha veramente valore del nostro lavoro accademico? Se un albero cade in un giornale scientifico, fa rumore? Chi utilizza la nostra ricerca, e fino a che punto? Come possiamo incrementare la visibilità del nostro lavoro, in modo che individui, famiglie, scuole, organizzazioni, comunità e società possano assaporare i frutti del progresso scientifico- ovviamente in un modo che rispetti i temi del dibattito attuale (ad esempio sulla replica di ricerche già pubblicate o sulle norme di pubblicazione)? Alcuni dei miei colleghi spesso si sentono frustrati dall’importanza spropositata che dipartimenti e università danno alla pubblicazione di risultati di ricerca originali in giornali sconosciuti ai più – giornali che saranno protetti da ridicoli abbonamenti a pagamento e saranno probabilmente letti solo da pochi colleghi che la pensano come noi nel nostro ristretto e  piccolo ambito di lavoro, e pochi altri. Eppure io sono ottimista, e credo che gli sforzi collettivi per far conoscere la scienza raggiungeranno la masse e cambieranno il modo in cui la gente pensa alla psicologia. Per questo io continuo a impegnarmi per diffondere la scienza anche attraverso In-Mind e altri siti come questo, e sprono i miei giovani colleghi a fare lo stesso. Da poco il nostro movimento è andato avanti, e In-mind ha aperto le sue porte e i suoi obiettivi fino a includere tutte le aree delle scienze psicologiche e delle discipline più vicine.

La missione originale di In-Mind, cioè divulgare la psicologia al pubblico generale, è perfettamente in linea con i valori del proselitismo scientifico e dell’educazione alla scienza. Questi sono imperativi morali, che sono anche necessari a preservare la salute della nostra disciplina.  Per usare le parole di un eminente scienziato del comportamento con cui parlai qualche tempo fa, dobbiamo mostrare al pubblico perché il nostro lavoro conta, se non altro perché il pubblico ha il controllo sul nostro budget. In un’epoca di tagli ai finanziamenti alle agenzie di ricerca e all’educazione superiore, possiamo solo biasimare noi stessi se ci rifiutiamo di partecipare al dibattito pubblico sui risultati della scienza. Ma a parte questo, c’è un imperativo morale. Noi tutti abbiamo la responsabilità etica di restituire la conoscenza alla società che ci ha permesso di accumulare questa conoscenza. Dobbiamo essere noi a separare i fatti dalle leggende, chiarendo quali idee sono valide e quali no, e smascherare i truffatori che fingono un’expertise sul comportamento umano con prove scarse o nulle sulle loro affermazioni.

La conoscenza che noi divulghiamo ha anche un beneficio diretto per la partecipazione alle nostre ricerche. In molti paesi, i partecipanti firmano un modulo di consenso informato prima di prendere parte a una ricerca, e molto spesso in questo modulo leggono una sezione intitolata “benefici della partecipazione”. In questa sezione viene descritto ciò che i partecipanti potrebbero potenzialmente ottenere dalla loro partecipazione (sia direttamente, come esperienza, o indirettamente, come contributo allo sviluppo della scienza). In-Mind e altri magazine simili sono esattamente questo: un benefit della partecipazione alla ricerca, come quelli descritti nei consensi informati. Pubblicando risultati di ricerca in modo aperto, senza costi, e senza utilizzare gergo accademico, noi facciamo sì che più persone siano esposte ai nostri risultati di ricerca e ne possano trarre beneficio. E poi, noi siamo orgogliosi del nostro lavoro e vogliamo che anche altri apprezzino le conoscenze più affascinanti che abbiamo scoperto. Il nostro obiettivo non è solo la scienza pura, fatta per il piacere della scoperta, ma è anche il tentativo di arricchire la vita delle persone. La psicologia può cambiare il mondo. Per usare le parole del fondatore di in-Mind, Hans IJzerman, il nostro magazine offre un luogo di contemplazione e riflessione, affinché le persone siano capaci di resistere a blog pieni di odio e attacchi sui social. Per questo vogliamo incoraggiare tutti gli scienziati a prendersi una pausa, pensare a ciò che sappiamo (o ancora non sappiamo), e poi tornare a fare ciò che riesce loro meglio.

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