Attribuire una mente a individui e gruppi

Questo articolo parla della nostra capacità di percepire la mente degli altri. Quali meccanismi psicologici sono alla base della percezione di mente? Quali sono i fattori che influiscono sull’attribuzione di mente? Quali dimensioni di giudizio utilizziamo per decriptare la mente altrui? E se fallissimo nella percezione di mente, non riconoscendola a chi ce l’ha? 

Mentalizzazione

La capacità di leggere la mente degli altri mi ha sempre affascinato, forse per gli elementi di magia e misticismo associati alla sua immagine. Non è sorprendente che all’incirca tutti gli esseri umani possiedano questa capacità (esclusi quelli con meno di cinque anni o quelli con una lesione alla corteccia prefrontale mediale)?. Riconoscere una mente agli altri individui è una componente essenziale della vita sociale nelle società umane, necessaria per raggiungere due importanti obiettivi per la sopravvivenza della specie: comprendere, prevedere, e controllare il comportamento degli altri e sviluppare una connessione sociale con i membri del proprio gruppo. Il bisogno di controllo e di connessione sociale sono i fattori principali che aumentano la necessità di percepire accuratamente la mente degli altri: l’incertezza, l’ambiguità nell’attribuzione causale, un aumentato bisogno di controllo (e sufficienti risorse cognitive), da un lato, il bisogno di appartenenza e il desiderio di essere connessi con altre entità, dall’altro, sono i motori della percezione di mente (Waytz, Gray, Epely, & Wegner, 2010). 

Il processo di percezione di mente è stato chiamato mentalizzazione (Frith & Frith, 2003). La mentalizzazione consiste nell’inferire l’esistenza di stati mentali ed eventi interni sulla base di indici esteriori o di una simulazione dell’esperienza dell’altro. La percezione di mente varia lungo un continuum. Ad un estremo, gli individui falliscono nel riconoscere nell’altro intenzioni, cognizioni, ed emozioni; questa tendenza viene chiamata dai ricercatori “dementalizzazione.” All’estremo opposto del continuum, gli individui riconoscono pienamente gli stati mentali degli attori sociali, ciò che viene chiamato “mentalizzazione.” Sebbene si parli principalmente di attori sociali, l’attribuzione di mente non è circoscritta ai soli esseri umani ma può essere accordata anche ad altre entità: un gruppo sociale, uno strumento tecnologico, Dio, una persona morta, o in stato vegetativo, etc. Si pensi che in Spagna la maggior parte del Parlamento ha riconosciuto agli scimpanzé alcuni diritti umani, proprio per le loro evidenti capacità mentali (Abend, 2008). Quotidianamente, mi capita di discutere con il computer su cui sto lavorando ora. Con SPSS (il software statistico che permette di verificare i risultati di una ricerca), ho condiviso dei momenti di forte felicità e rabbia [sic!]. È probabilmente capitato anche a voi di interagire con un essere inanimato, ad esempio il computer o l’automobile, addirittura attribuirgli responsabilità, come se avesse una mente: non preoccupatevi, non è un segnale di disturbo psichico ma più semplicemente una forma di antropomorfismo (Epley, Waytz, & Cacioppo, 2007; si veda glossario). È più preoccupante invece non percepire la mente in chi ce l’ha: se ad un essere umano viene negata la mente, di conseguenza gli sono negati anche i diritti umani e può essere trattato come un animale o un oggetto (Haslam, 2006). È quindi importante conoscere i meccanismi psicologici che portano a percepire la mente dell’altro.

Gli individui attribuiscono una mente a sé e agli altri. Quando pensano agli altri in termini di credenze, atteggiamenti, pensieri, o emozioni ma anche quando cercano di prevedere il comportamento altrui sulla base di caratteristiche mentali siamo di fronte all’attribuzione di mente. Noi esseri umani non possiamo percepire direttamente gli stati mentali di un altro, ma possiamo solo inferirli sulla base di metodi indiretti, quali l’osservazione del comportamento, il resoconto degli altri, o l'intuizione. Il primo meccanismo per conoscere la mente dell’altro sembra essere una simulazione egocentrica. Come diceva Piaget (1932/2009), i bambini fino ai cinque anni non sono consapevoli che le percezioni degli altri siano diverse dalle proprie; difficilmente un bambino comprende che la visione di un oggetto possa essere diversa dalla propria, ad esempio per una persona che vede lo stesso oggetto da una posizione diversa (Flavell, 1986). Gli adulti mantengono questa prospettiva egocentrica come punto di partenza nei giudizi sociali. Durante lo sviluppo apprendono una serie di informazioni sociali sugli altri o su gruppi di altri: stereotipi, aspettative, e teorie ingenue su come funzioni la mente forniscono il secondo meccanismo per intuire gli stati mentali degli altri. La ricerca nelle scienze cognitive (Epley, 2008) suggerisce che la propria prospettiva serva da punto di partenza quando cominciamo a considerare la mente di un altro; le informazioni sociali entrano in gioco solo in un momento successivo, per aggiustare o correggere l’iniziale valutazione egocentrica: un’euristica di ancoraggio e aggiustamento (Tversky & Kahneman, 1974; si veda glossario). 

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