La rilevanza della ricerca in psicologia sociale: Un problema che ci stiamo lasciando alle spalle

Aronson ha speso la sua creatività e il suo impegno operativo non solo per prendersi carico dei problemi del risparmio energetico. Il suo contributo allo sviluppo della psicologia sociale è stato segnato da un altro filone di indagini sul campo che lo hanno visto protagonista di una vera e propria rivoluzione istituzionale, realizzatasi quando nel 1954, per effetto di una sentenza della Corte Suprema statunitense, vennero considerate illegittime le pratiche di discriminazione razziale fino ad allora sistematicamente presenti nel sistema scolastico americano. Il Presidente della Corte suprema era stato estremamente chiaro: “Se i bambini afroamericani vengono tenuti separati dai bianchi soltanto a causa della loro razza, si crea in loro un sentimento di inferiorità in relazione alla loro posizione nella comunità che potrebbe influenzare la loro anima e la loro mente in modo che difficilmente si può riparare”. E’ interessante notare che a fronte di questa storica decisione si sollevarono parecchie riserve, spesso occultate dietro giustificazioni di tipo “umanitario”: Cosa sarebbe successo – si diceva – se persone appartenenti ad etnie diverse fossero state obbligate a mischiarsi nelle aule scolastiche? Sarebbe stato meglio aspettare tempi migliori, quando un reale cambio di atteggiamenti delle persone avesse concretamente reso possibile la fine delle pratiche discriminatorie. In ogni caso, l’abolizione della segregazione etnica nelle scuole non era la soluzione definitiva. Il problema infatti non era tanto riuscire a fare frequentare la stessa scuola a studenti di diverse origini etniche: Il problema era ciò che sarebbe capitato dopo. 

Aronson aveva ben presenti i risultati ottenuti qualche anno prima dal prestigioso collega Sherif (Sherif, Harvey, White, Hood, & Sherif, 1971), che era riuscito a ridurre l’atmosfera di ostilità creatasi tra due gruppi di ragazzi messi in situazione di conflitto e di competizione, creando una situazione di interdipendenza reciproca. Ragionando con la stessa ottica Aronson e i suoi collaboratori (1978) riuscirono a elaborare una tecnica didattica molto semplice ma allo stesso tempo efficace, capace di creare una atmosfera di interdipendenza tra gli alunni di una classe. Per imparare il materiale proposto a lezione e per ottenere un buon voto nel compito in classe i ragazzi erano obbligati a lavorare insieme, dovendo scambiarsi le informazioni che ciascuno, indipendentemente dall’etnia, possedeva in maniera unica e indispensabile, se l’intero gruppo desiderava arrivare alla soluzione. Il particolare metodo di apprendimento venne definito classe Jigsaw (1971) dal nome di un puzzle a quel tempo molto famoso: Non a caso, il contributo di conoscenza posseduto da ciascun ragazzo era come la tessera di un puzzle, che poteva essere completato con successo solo se tutti gli elementi andavano al loro posto. 

L’eleganza dell’implicito

Mi propongo di ritornare sui due esempi di indagine sul campo prodotti da Aronson in conclusione del contributo di riflessione che intendo sviluppare, a partire da una rapida panoramica dei contributi teorici e di ricerca ai quali mi sono più sistematicamente ancorato nella mia attività scientifica, condotta per larga parte dentro i rassicuranti confini dell’accademia. Il punto di vista e il piano di lettura dei fenomeni sociali che ho costantemente adottato è stato quello che va sotto il nome di cognizione sociale. A mio avviso, (Arcuri e Zogmaister, 2007) le ricerche svolte secondo questa prospettiva (sto parlando di un arco temporale almeno di venti anni) sono riuscite a coniugare con confortanti risultati lo studio di argomenti classici, come gli atteggiamenti, il pregiudizio, lo stereotipo sociale, con l’impiego di paradigmi di ricerca e strumenti di indagine decisamente innovativi. Sono del parere, ad esempio, che uno degli scenari di ricerca più interessanti è stato quello che ha suggerito l’uso di metodi capaci di registrare risposte d’atteggiamento senza che le persone debbano accedere in maniera consapevole ai legami associativi posseduti. E’ il caso dell’elegante paradigma sperimentale del priming semantico messo a punto da Fazio (Fazio e Olson, 2003) nell’ambito degli studi sui concetti sociali. Lo studio di Fazio ha dato inizio al progressivo crescere di interesse per le tecniche indirette d’indagine, capaci di inferire gli atteggiamenti posseduti dalle persone senza che queste debbano accedere in maniera introspettiva ai loro contenuti. 

Una spinta decisiva in questa direzione è stata imposta dalla pubblicazione di un fondamentale contributo di Anthony Greenwald (Greenwald, McGhee e Schwartz, 1998) che presentava l’Implicit Association Test (IAT), ad oggi lo strumento più utilizzato per l’indagine degli atteggiamenti impliciti. Da allora, si sente sempre più spesso parlare di misure indirette d’atteggiamento. L’interesse per la componente implicita degli atteggiamenti e per gli strumenti come l’IAT capaci di rilevarla, ha ampiamente superato i limiti della psicologia sociale e ha influenzato molti altri settori della psicologia.  

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